Cimabue - Crocifisso di San Domenico

Titolo dell'opera: Crocifisso di San Domenico ad Arezzo
Autore: Cimabue
Anno di esecuzione: 1265 circa
Luogo: Arezzo (San Domenico)



La somiglianza del crocifisso con quello bolognese di Giunta Pisano si spiega anche con un'esplicita richiesta dei domenicani aretini, essendo il crocifisso di Giunta conservato nella chiesa principale dell'ordine, la basilica di San Domenico a Bologna.

Da sempre conservato nella chiesa, il Crocifisso di Cimabue fu restaurato una prima volta nel 1917 e, più recentemente, nel 2005. Non è ricordato dalle fonti antiche e il primo a pubblicarlo fu Cavalcaselle nel 1875, che però lo attribuì a Margaritone d'Arezzo. Adolfo Venturi (1907) fu il primo a fare il nome di Cimabue, seguito con decisione dal Toesca (1927), che fu confermato da quasi tutti gli studiosi successivi.

La datazione si basa unicamente su dati stilistici e a poco sono valsi gli studi sull'origine della chiesa e del convento, che risultano fondati nel 1242 e ampliati in data imprecisata, probabilmente su impulso da Roma.






In questa opera Cimabue si orientò verso le recenti rappresentazioni della crocifissione con il Christus patiens, dipinte negli anni precedenti da Giunta Pisano e dal Maestro di San Francesco, ma aggiornò l'iconografia arcuando ancora maggiormente il corpo di Cristo, che ormai debordava occupando tutta la fascia alla sinistra della croce. Il corpo di Cristo, il tipo di panneggio e la decorazione della croce derivano da Giunta e la croce aretina potrebbe apparire come una semplice imitazione se non fosse per la particolare flessione, che si sforza di trovare un equilibrio fra realismo e intellettualismo, con effetto più dinamico ed espressivo, ma anche di geometrica purezza. Le linee di contorno accentuano la tensione muscolare del corpo ondeggiante. Il volume è accennato con più decisione, grazie al chiaroscuro intensificato.

Più dolce è il volto di Cristo, ottenuto con pennellate più sciolte e morbide, ma con uno stile ancora asciutto, quasi "calligrafico"; il colore è steso in un tratteggio sottile che imprime al corpo uno stacco dalla tavola. La smorfia di dolore è più realistica, in ossequio alle richieste degli ordini mendicanti. Il torace è segnato da una muscolatura tripartita, le mani appiattite sulla croce e i colori sontuosamente preziosi, sia per l'uso dell'oro che dello squillante rosso.

Un'altra novità rispetto al modello fu l'uso delle striature d'oro nel panneggio che copre il corpo di Cristo o nelle vesti dei due dolenti ("agemina"), un motivo introdotto da artisti come Coppo di Marcovaldo e derivato dalle icone bizantine.



Sempre ai modelli di Giunta rimandano le due figure nelle bandelle ai lati dei bracci della croce: Maria e San Giovanni raffigurati a mezzo busto in posizione di compianto, che guardando lo spettatore piegano la testa e l'appoggiano a una mano.

Nel tondo in alto (la cimasa aggiunta di un clipeo) è raffigurato il Cristo benedicente, opera di corredo probabilmente di un aiuto di bottega.



Bibliografia

Eugenio Battisti, Cimabue, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1963.
Enio Sindona, Cimabue e il momento figurativo pregiottesco, Rizzoli Editore, Milano, 1975. ISBN non esistente