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Abbazia di Sant'Angelo in Formis


SantAngeloinFormis di operapropria - Abbazia di Sant'Angelo in Formis, Capua. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.

La chiesa, dedicata a San Michele Arcangelo, sorge lungo il declivio occidentale del monte Tifata.

Inizialmente nei documenti l'edificio è indicato come ad arcum Dianae ("presso l'arco di Diana"), ricordando che sorgeva al di sopra dei resti del tempio dedicato a questa divinità, mentre successivamente ci si riferisce ad esso con le denominazioni ad Formas, Informis o in Formis. L'interpretazione etimologica della nuova denominazione è controversa: da una parte l'ipotesi è che derivi dal termine latino forma ("acquedotto"), e che stia ad indicare la vicinanza di un condotto o di una falda; mentre dall’altra il termine si considera derivato dalla parola informis ("senza forma", e quindi "spirituale").

Abate Desiderio
I resti del tempio romano furono rinvenuti nel 1877, e si è notato che la basilica ne ripercorre il perimetro, aggiungendo le absidi al termine delle navate. La prima costruzione della basilica si può far risalire all’epoca longobarda, sulla base dell'ampia diffusione del culto dell'arcangelo Michele presso i Longobardi alla fine del VI secolo. Al tempo del vescovo di Capua Pietro I (925-938), la chiesa fu donata ai monaci di Montecassino, che volevano costruirvi un monastero. La chiesa fu poi tolta ai monaci e ridonata loro nel 1072 dal principe di Capua, Riccardo. L'allora abate Desiderio di Montecassino (il futuro papa Vittore III) decise di ricostruire la basilica (1072 - 1087) e ne rispettò ancora gli elementi architettonici di origine pagana. A lui si devono gli affreschi di scuola bizantino-campana che decorano l'interno e che costituiscono uno tra i più importanti e meglio conservati cicli pittorici dell'epoca nel sud Italia.

Al XII secolo sono stati attribuiti il rifacimento del portico antistante la chiesa, con nuovi affreschi, e una ricostruzione del campanile in seguito ad un crollo.

Architettura
La facciata è preceduta da un porticato a cinque arcate ogivali, quella centrale più alta e realizzata con elementi marmorei di reimpiego. Le arcate sono sorrette da quattro fusti di colonna, due a destra in marmo cipollino e due a sinistra in granito grigio, con capitelli corinzi non pertinenti e diversi tra loro, e sorrette da altri elementi architettonici diversi riutilizzati in funzione di basi. Gli elementi di reimpiego provengono probabilmente da edifici facenti parte del santuario pagano. Sulla destra della facciata il campanile: presenta il basamento costruito con blocchi di reimpiego, disposti in modo regolare e vi è inserito un fregio con decorazioni zoomorfe, mentre il secondo piano è decorato da bifore.

Dal portico, a cui si accede con quattro gradini marmorei, si accede all'interno, a pianta basilicale, senza transetto, con tre navate, ciascuna delle quali termina in un'abside. Le colonne che dividono le navate, con fusti di diverse varietà di marmi e capitelli corinzi, sono ugualmente di riutilizzo da edifici di epoca romana.

In una miniatura che illustra i possedimenti dell'Abbazia di Montecassino, riferita alla donazione del 1072, la chiesa è rappresentata ad una sola navata e con il portico a tre archi, mentre il campanile si trova a sinistra della facciata. Nell'affresco dell'abside maggiore è raffigurato l'abate Desiderio che offre il modellino della chiesa: qui il campanile è ancora raffigurato a sinistra, ma l’edificio presenta tre navate. La miniatura dovrebbe quindi rappresentare la chiesa come era al momento della donazione di Riccardo, mentre l'affresco dell'abside raffigurerebbe i lavori fatti compiere da Desiderio di Montecassino. La posizione del campanile a sinistra, della chiesa, diversa da quella attuale, ha fatto ipotizzare una sua ricostruzione in seguito ad un crollo, probabilmente nell'ambito dei lavori condotti nel XII secolo.

Oratorio di San Pellegrino

Titolo dell'opera: Oratorio di San Pellegrino
Autore: n.n.
Anno di esecuzione: 1263
Luogo: Bominaco (Aq)


L'oratorio di San Pellegrino si trova nella frazione di Bominaco del comune di Caporciano, in provincia dell'Aquila. Le pareti interne della chiesa sono interamente coperte da affreschi che, insieme a quelli della vicina chiesa di Santa Maria ad Cryptas a Fossa, rappresentano una testimonianza importante della pittura medioevale abruzzese.

Storia

L'oratorio fa parte di un complesso monastico del quale fa parte la vicina chiesa di Santa Maria Assunta. Un'iscrizione sulla parete di fondo dell'oratorio ne fa risalire la costruzione al 1263 da parte dell'abate Teodino.
È dedicato a San Pellegrino, un martire venerato nella zona, sulla cui tomba venne costruita una chiesa intorno all'VIII secolo. Carlo Magno fornì alla chiesa dei terreni e la donò all'Abbazia di Farfa, dalla quale alcuni monaci vennero per fondare una comunità monastica. Nel 1001 la comunità si rese indipendente da Farfa con la donazione da parte del conte Oderisio di notevoli estensioni di terreno.

Esterno

L'oratorio è un piccolo ambiente con un'unica navata senza abside di 18,70 metri di lunghezza per 5,60 metri di larghezza, sormontata da una volta a botte ogivale.
La facciata principale è caratterizzata da un pronao di origini seicentesche. Un secondo ingresso si trova sulla facciata posteriore ed era riservato ai religiosi che abitavano nel monastero addossato alla fiancata laterale della chiesa di Santa Maria Assunta; a causa del dislivello causato dal pendio roccioso, questo ingresso è situato ad una quota più alta del pronao ed è accessibile attraverso due rampe di scale.
L'illuminazione è garantita da sei feritoie presenti sui due lati della navata e da due rosoni presenti sulle due facciate. Un terzo ingresso si trova sulla parete laterale, mentre sulla facciata posteriore si trova un campanile a vela.

Basiliche: Complesso della Santissima Trinità (Venosa)

Titolo dell'opera: Complesso della Santissima Trinità
Autore: Romani, Longobardi e Normanni
Anno di esecuzione: V secolo
Luogo: Venosa (Provincia di Potenza, Basilicata)



Il complesso della Santissima Trinità è tra i più importanti siti monumentali di Venosa, il cui interesse si deve al fatto che nell'abbazia contiene la stratificazione di tracce ereditate principalmente da Romani, Longobardi e Normanni. La struttura si compone della chiesa antica (o chiesa vecchia), a cui dà accesso l'entrata principale, e della chiesa Incompiuta (o chiesa Nuova), la cui costruzione non fu mai portata a termine. È riconosciuto monumento nazionale con regio decreto dal 20 novembre 1897.
Tomba degli Altavilla
Vi è controversia sulla data di fondazione, ma gli studi più recenti riprendono le teorie di Daniel Bertaux: l'Abbazia (che inizialmente comprendeva solo la Chiesa Antica) venne innalzata dai Benedettini prima della venuta dei Normanni. Il nucleo originario è costituito da una Basilica Paleocristiana sorta tra il V ed il VI secolo, ove in precedenza vi era un tempio pagano dedicato a Imene. Nel 1059, venne consacrata da papa Niccolò II. Nello stesso anno Roberto il Guiscardo volle rendere la Chiesa il sacrario degli Altavilla e fece portare, all'interno, le salme dei suoi fratelli Guglielmo "Braccio di Ferro", Umfredo e Drogone (successivamente verrà anche lui sepolto qui).

La chiesa preserva un impianto in stile paleocristiano, strutturato da una pianta basilicale romana con un'ampia navata centrale e l'abside posta sul fondo, ma nel corso del tempo ha subito varie mutazioni a partire dal VII secolo, fino agli apporti di ricostruzione e restauro ad opera di Longobardi (nel X secolo) e Normanni (tra il XI ed il XIII secolo).

L'ingresso della Chiesa, in stile romanico, esibisce sul lato sinistro due sculture di leoni in pietra e quattro sporgenze, che corrispondono ad altrettante facciate sovrapposte l'una all'altra nel corso dei secoli. Da destra verso sinistra: la prima sporgenza è di epoca normanna tra il XI e XII secolo; la seconda è longobarda, datata il X secolo; la terza è del VIII-IX secolo e la quarta è l'entrata laterale della Basilica Paleocristiana, al momento chiusa.



Varcando la soglia dell'edificio, si possono rimirare varie sculture di civiltà eterogenee, perlopiù romane, e la cosiddetta Colonna dell'Amicizia, opera romana sormontata da un capitello bizantino. La Colonna venne chiamata così perché dice la tradizione che girarvi intorno tenendosi per mano sia un presagio di eterna amicizia e per le giovani spose che si comprimano tra colonna e parete, un augurio di fecondità.