Duomo: Santa Maria del Fiore (Porta della Mandorla)

Titolo dell'opera: Santa Maria del Fiore - Porta della Mandorla
Autore: vari
Anno di esecuzione: 768 (prima attestazione)
Luogo: Firenze


La Porta della Mandorla è la porta laterale sinistra della fiancata nord del Duomo di Firenze, davanti a via de' Servi. Fu realizzata dal 1391 al 1423, con vari scultori, tra i quali Donatello e, soprattutto Nanni di Banco. Deve il suo nome alla raffigurazione nel timpano dell'Assunzione della Vergine entro un nimbo a forma di mandorla. Nelle girali vegetali scolpite sugli stipiti si notano innesti di massicce figure modellate secondo l'antico.

Le sculture della porta hanno una notevole rilevanza nella storia dell'arte perché vennero realizzate durante il passaggio tra le ultime fasi del gotico e il primo incipiente Rinascimento, con i primissimi esempi di gusto rigorosamente classicista a Firenze, che di lì a poco diventò predominante. Questa ricerca di novità guardando al passato aveva come tecnica privilegiata proprio la scultura, poiché per gli scultori era più agevole il confronto con le opere degli antichi.

La porta della Mandorla fu l'ultima porta laterale ad essere costruita ed è considerata la più bella delle quattro. Una prima fase dei lavori ebbe luogo tra il 1391 e il 1397, quando venne completata la struttura geometrica e parte del rivestimento ancora di gusto gotico fino all'innesto dell'arco, compresi i due tabernacoli e le statue della lunetta. Vi parteciparono Giovanni d'Ambrogio, Jacopo di Piero Guidi, Piero di Giovanni Tedesco e Niccolò di Pietro Lamberti. Quest'ultimo, con la coppia padre-figlio di Antonio e Nanni di Banco, prese parte anche alla seconda fase decorativa, che creò la cornice a girali del timpano di coronamento, i bordi scolpiti della lunetta e i due Profetini, uno forse di mano di Donatello e uno di Nanni di Banco.

Una terza fase dei lavori ebbe luogo nel 1414-1421 quando Nanni di Banco scolpì il rilievo del frontone, mentre nel 1422 Donatello scolpì le due teste nei pennacchi della cornice del frontone. Nello stesso periodo vennero spostate dall'interno della cattedrale le due statue del gruppo dell'Annunciazione, attribuite a Giovanni d'Ambrogio, e poste al centro della lunetta, dove poi venne fatto il mosaico.

Nel 1489-1490 venne completato infine con il mosaico dell'Annunciazione nella lunetta, opera di David Ghirlandaio con la collaborazione del più celebre fratello Domenico.

Nel 1869-1871 vennero eseguiti dei lavori di restauro, che rimossero alcuni rilievi attorno all'arco (apice e lato esterno) sostituendoli da copie.

La porta è stata oggetto di un impegnativo restauro a partire dal 2002; nonostante l'originaria previsione di due anni di lavori essi sono stati conclusi il 5 giugno 2012.


Il tema della decorazione scultorea è quello della Vergine e della sua missione salvifica per l'umanità, testimoniato dalla cessione della cintola durante la sua salita in cielo (rilievo nella cuspide). Questo episodio, inteso come culmine del processo dell'intera storia umana, è legato alla raffigurazione dell'Annunciazione (lunetta e statue nei tabernacoli), durante il quale la Madonna accettò la sua condizione e la sua missione. Testimoniano il lungo processo le figure dei profeti dell'Antico testamento (statue sui pinnacoli), che anticiparono gli eventi, e alcuni personaggi dall'antica mitologia pagana (rilievi sugli stipiti), che fecero da tramite fra gli uomini e Dio prima della rivelazione.

Biografie: Giovanni d'Ambrogio

Giovanni d'Ambrogio è stato uno scultore e architetto italiano, attivo a Firenze nel XIV e XV secolo.


Annunciazione attribuita a Giovanni d'Ambrogio, 1397 circa, Museo dell'Opera del Duomo (Firenze)
Probabilmente esiste un omonimo che ha svolto la stessa professione. Le due figure, un tempo identificate come la stessa persona, oggi sono in genere distinte dagli storici dell'arte, anche se la distinzione non è accettata univocamente.

Abbiamo così:

  • Giovanni d'Ambrogio, autore dei ponteggi di Santa Maria del Fiore nel 1366.
  • Giovanni d'Ambrogio, attivo a Firenze tra il 1382 e il 1418: fu uno scultore pre-rinascimentale, indicato come il più diretto precedente alle esperienze di Donatello e Nanni di Banco, coi quali collaborò alla porta della Mandorla. Di lui ci restano opere a Firenze e a Roma (in Santa Maria in Trastevere, Tomba del Cardinale Filippo d'Alençon per esempio).


Da Wikipedia: Giovanni d'Ambrogio

Biografie: Arnolfo di Cambio

Arnolfo di Cambio, noto anche come Arnolfo di Lapo (Colle di Val d'Elsa, 1240 circa – Firenze, 8 marzo 1302-1310 circa), è stato uno scultore, architetto e urbanista italiano attivo in particolare a Roma e a Firenze alla fine del Duecento e ai primi del secolo successivo.

Sulla famiglia e sulle origini di Arnolfo ben poche notizie certe sono giunte fino a noi, sembra, comunque, figlio di Messer Lapo, notaio a Colle di Val d'Elsa, e di domina Perfetta.

Arnolfo di Cambio si formò nella taglia (bottega) di Nicola Pisano e con lui lavorò all'Arca di san Domenico nella chiesa di San Domenico a Bologna (1264-67), al pulpito del Duomo di Siena (1265-1269).

Dopo aver lasciato la bottega intorno al 1270, avendo acquisito un'autonomia professionale, si trasferì a Roma dove fu al seguito di Carlo I d'Angiò. Di questi anni sono il Ritratto di Carlo I d'Angiò (circa 1276, oggi presso il Palazzo dei Conservatori, Roma) forse il primo ritratto realistico di un personaggio vivente, e il monumento funebre del papa Adriano V a Viterbo. Nel frattempo (dicembre 1277) re Carlo gli consentiva di interrompere le sue prestazioni professionali per la Corte angioina e di recarsi a Perugia per la sistemazione della Fontana Minore di cui oggi restano solo numerosi frammenti scultorei presso la Galleria Nazionale.

Carlo I d'Angiò
A metà degli anni ottanta realizzò il monumento funebre del cardinale De Braye, morto nel 1282, nella chiesa di San Domenico a Orvieto. Con questo complesso scultoreo-architettonico, oggi molto trasformato, Arnolfo inaugurò una tipologia sepolcrale usata in seguito fino al Rinascimento con il catafalco accostato alla parete e sormontato da un baldacchino scostato da due accoliti, coronato da una cuspide sostenuta da colonne tortili e decorata da pinnacoli, che conteneva i tre gruppi statuari minori, secondo un ritmo ascensionale che simboleggiava l'elevazione dell'anima verso il paradiso.

A Roma l'artista era stato a contatto delle grandi opere del passato romano, e aveva assorbito le lezioni dei maestri cosmateschi, di cui riutilizzerà i partiti decorativi a intarsi di marmi colorati e vetri dorati nei ciborî della basilica di San Paolo fuori le mura (1285) e di Santa Cecilia in Trastevere (1293). Del 1289 circa è il monumento funebre del nipote del cardinale Annibaldi Riccardo Annibaldi (conservato presso San Giovanni in Laterano, Roma). In questo periodo lavorò a Roma per altre commissioni papali: monumento a papa Bonifacio VIII (1296), statua bronzea di San Pietro della Basilica di San Pietro (1300). Arnolfo realizzò probabilmente la prima rappresentazione plastica del Presepe, scolpendo nel 1291 otto statuette che rappresentano i personaggi della Natività ed i Magi; le sculture superstiti del primo presepe della storia, inizialmente inserite nel monumento a Bonifacio VIII nella Cripta della Cappella Sistina, si trovano nella Basilica di Santa Maria Maggiore.
Riccardo Annibaldi
Negli ultimi anni del Duecento fu a Firenze, dove svolse probabilmente la sua attività essenzialmente come architetto e di urbanista.

A Colle di Val d'Elsa, sua città natale, avrebbe realizzato i ponti di Spugna e di San Marziale, oggi scomparsi.

La presenza alla corte di Carlo I d'Angiò spiega in un certo senso l'allontanamento precoce di Arnolfo dai modi improntati ad una sintesi tra classicità e gotico di Nicola Pisano e di suo figlio Giovanni (membro al pari di Arnolfo nella bottega paterna): egli probabilmente venne avvicinato al gusto allora dominante la scuola francese, caratterizzato da raffigurazioni più lineari, astratte ed aristocratiche, rispetto all'insuperato culmine di sintesi naturalistica e monumentalità raggiunta prima del 1250. Le sculture di Arnolfo furono quindi caratterizzate da un maggior senso della linea (piuttosto che del volume) e da una rappresentazione irrequieta.