Pulpito del Battistero di Pisa

Titolo dell'opera: Pulpito
Autore: Nicola Pisano
Anno di esecuzione: 1257
Luogo: Pisa (Battistero)




Verosimilmente iniziato verso il 1257 è un'opera di piena maturità dell'artista, con la quale vengono introdotte contemporaneamente una serie cospicua di novità di assoluto rilievo.

Innanzitutto la struttura a base esagonale non ha precedenti: si pensi al pulpito di Guglielmo già nel duomo di Pisa (oggi in quello di Cagliari) o a quelli diffusi nel XII secolo in Italia meridionale, tutti a base quadrata o rettangolare.

Sostenuto da sei colonne laterali (tre delle quali poggianti su leoni stilofori) ed una centrale con basamento scolpito con tre telamoni, ha il parapetto ornato da cinque pannelli a bassorilievo con scene della vita di Cristo:
  • Natività
  • Adorazione dei Magi
  • Presentazione al tempio
  • Crocifissione
  • Giudizio Universale
  • Sul sesto lato si trova l'apertura per accedere al vano rialzato

Inoltre tra le colonne sono ricavati archetti trilobati con rilievi nei pennacchi (con Profeti e evangelisti) e sopra i capitelli si trovano altrettante statue con Quattro virtù cardinali, San Giovanni Battista e l'Arcangelo Michele

La costruzione fu probabilmente ispirata dall'arcivescovo Federico Visconti, che nei suoi Sermones descrive una domus Dei con corrispondenze alle fattezze del pulpito: una Domus Dei inferior corrispondente al livello dei leoni, una Domus Dei exterior al livello delle sette colonne (che simboleggerebbero i sette sacramenti) ed una Domus Dei superior con la visione divina delle scene cristologiche. Anche la scelta degli episodi dei pannelli, i momenti più commoventi dell'infanzia e della passione, secondo la predilezione devozionale dei francescani, viene messa in relazione con un fatto avvenuto nel 1257, la predicazione a Pisa del teologo francescano Bonaventura da Bagnoregio.

Ma l'erudizione del programma iconografico non limitò l'arte di Nicola, che anzi diede un possente realismo ai rilievi, con grandi vertici nelle figure quasi a tutto tondo sopra i capitelli. La Carità per esempio presenta un panneggio morbido e realistico e intreccia con un puttino un tenero contatto delle mani; la Fortezza poi è uno dei primi nudi ripresi da modelli dall'antichità classica, con un'evidentissima citazione dell'iconografia di Ercole, con tanto di pelle leonina. La posa leggermente inarcata e dalle linee sciolte venne ripresa più di due secoli e mezzo dopo da Michelangelo Buonarroti per il celeberrimo David.

Evidentissimi sono altri debiti con le sculture romane, tanto da avere vere e proprie citazioni, come nella Madonna seduta nell'Adorazione dei Magi, ripresa da una Fedra in un sarcofago pisano, o il vecchio con un braccio sorretto da un putto nella Presentazione al tempio, riadattato dal rilievo di un cratere con scene dionisiache sempre a Pisa.

I personaggi sono rappresentati su più piani, secondo una disposizione spaziale realistica, con un'acuta descrizione delle fisionomie ed un vivace e dinamico senso della narrazione. I bassorilievi dei pannelli non sfigurano quindi accanto agli originali romani del II-III secolo, ma vi si possono rintracciare anche le inquietudini tipicamente gotiche, nella spigolosità del ricadere dei panneggi o nelle barbe e nelle criniere cavalline ricavate col trapano.


Il culmine drammatico del ciclo si raggiunge nella Crocefissione, di grande rigore compositivo, dove quasi tutti i personaggi convergono lo sguardo al Cristo morto. Nicola relegò al secondo piano l'iconografia tradizionale (la personificazione dell'Ecclesia accolta da un angelo, contrapposta a quella della sinagoga scacciata), dedicandosi nel primo piano ad un complesso schema di emozioni suscitate dalla morte del Cristo: dal notevole pathos dato dalle realistiche espressioni di dolore (per esempio di San Giovanni, che la il "gesto del dolore", portando la mano al petto), all'inedita rappresentazione della Madonna svenuta (derivata da fonti letterarie francescane) o alla verace espressione dubbiosa del fariseo sulla destra che si tocca pensoso la barba, vicino a un compagno che alza il pugno minaccioso. Tra gli ebrei, secondo il Vangelo di Luca (che fu la fonte di Nicola), c'è chi solo tornando a casa si rese conto che "veramente quest'uomo era giusto" (Lc 23, 37), come dimostra l'ultima figura, che si sbilancia verso l'esterno (sta andando via), ma si volta e si batte il petto per esprimere il rimorso.

Rispetto alla Deposizione nella lunetta del portale sinistro del duomo di Lucca, qui il Cristo è meno dolorosamente inerme, anzi il magnifico modellato del corpo ne trasfigura la regale bellezza duplicemente umana e divina.

Da Wikipedia: Pulpito del battistero di Pisa

Bibliografia:
Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 1, Bompiani, Milano 1999.
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Altare di Sant'Ambrogio (Milano)

Titolo dell'opera: Altare di Sant'Ambrogio
Autore: Vuolvino
Anno di esecuzione: 824 -850
Luogo: Milano



L'altare di Sant'Ambrogio è l'altare principale della basilica di Sant'Ambrogio a Milano. L'altare è fulcro della ristrutturazione che il vescovo franco Angilberto II compie in Sant'Ambrogio . L'antica basilica, con il suo patrimonio di reliquie, è il luogo in cui si manifesta il programma politico e religioso che guida la riorganizzazione della città e del territorio da parte del vescovo, rappresentate del potere carolingio.
Realizzato tra l'824 e l'859. L'altare è firmato da Vuolvino magister phaber (detto anche Volvinio), per questo viene anche chiamato Altare di Vuolvino. È un autentico capolavoro dell'oreficeria di epoca carolingia, ed è realizzato in legno a cui sono state sovrapposte lastre d'oro e d'argento dorato, pietre preziose e smalti.

Collocato sotto un ciborio coevo, doveva rappresentare un segnale vistoso della presenza delle reliquie dei santi Gervasio e Protasio e dello stesso Ambrogio, collocate al di sotto dell'altare stesso e visibili tuttora da una finestrella sul lato posteriore.

Oggi è protetto da una teca trasparente.


La forma di grande parallelepipedo doveva ricordare sin da allora una cassa-sarcofago, ma non venne progettato per contenere i resti dei santi. Le quattro facce laterali sono decorate da pannelli a loro volta suddivisi in storie più piccole.

Le storie sono divise da ricche cornici con motivi a filigrana e pietre incastonate, e anche in altri punti sono sparse una gran quantità di gemme e placchette policrome in smalto cloisonné. La tecnica di realizzazione dei rilievi è quella dello sbalzo.
Il lato anteriore, in oro, è rivolto verso i fedeli e diviso in tre pannelli di uguale grandezza. Quello centrale contiene una croce detta clipeata, per la presenza al centro di un ovale che contiene il Cristo Pantocratore in trono. In corrispondenza dei bracci è raffigurato il tetramorfo, ossia i simboli dei quattro evangelisti (in alto l'aquila di Giovanni, a sinistra il leone di Marco, a destra il bue di Luca e in basso l'angelo di Matteo); nei quattro pannelli d'angolo sono raffigurati a gruppi di tre gli apostoli.

I due pannelli laterali presentano sei riquadri ciascuno. Vi sono raffigurate le Storie di Cristo, con una disposizione delle scene che inizia sul lato sinistro, nell'angolo in basso esterno e prosegue in colonna verso l'alto, per poi riprendere in basso nella colonna successiva. Poi la lettura prosegue sul lato opposto, sempre iniziando dall'esterno, per convogliare comunque l'osservatore verso la croce al centro, simbolo di Salvezza.

Il lato posteriore, in argento e rivolto verso l'abside, quindi riservato al clero e a coloro ai quali era concesso di vedere la tomba del santo titolare, presenta la stessa tripartizione, però al centro vi sono i due sportelli che chiudono la finestrella (fenestrella confessionis), ciascuno decorato da due tondi con un arcangelo (Michele a sinistra e Gabriele a destra) e una scena di omaggio: Ambrogio che incorona Angilberto che gli presenta l'altare a sinistra e Ambrogio che incorona Vuolvino magister phaber, che lo venera a destra.

I pannelli laterali rappresentano dodici scene con le Storie di Sant'Ambrogio, ma questa volta la lettura procede, sempre partendo dal basso, da sinistra a destra saltando da un pannello all'altro e riprendendo nella fila superiore a destra.

I due lati minori presentano un'intelaiatura geometrica formata una grande croce gemmata al centro con clipei all'estremità dei quattro bracci e chiusa in una losanga; intorno alla losanga vi sono dei piccoli triangoli che incorniciano angeli adoranti; nei vuoti lasciati dai bracci della croce e nei clipei figure di santi prostrati adorano la croce, simbolo della consustanziazione di Cristo (insieme uomo e Dio) e della lotta contro l'Arianesimo ripresa anche in alcune scene dei pannelli posteriori (Conversione di un ariano, funerali di san Martino). Placchette di smalti policromi e gemme (alcune originarie, altre poste successivamente) adornano le cornici.

Maestri delle Storie di Cristo

L'altare presenta una concezione unitaria, ma è certo che alla sua esecuzione presero parte più mani.

I cosiddetti Maestri delle Storie di Cristo erano probabilmente lombardi, come si desume dalla grande varietà di influssi riscontrabili nei pannelli all'epoca possibili solo in questa regione:

Scene organizzate con complesse partiture, come in modelli tardo-antichi individuabili anche negli affreschi del Monastero di San Giovanni a Müstair;
Finte architetture, elementi paesistici a volo d'uccello e mimica marcata come negli affreschi della cripta di Saint-Germain d'Auxerre;
Vivace senso narrativo delle scene, come nelle miniature della scuola di Reims;
Elementi grotteschi, fisionomia stravolte (come quelle dei mercanti nella Cacciata), effetti naturalistici delle rocce o di dettagli (come la capanna del cieco nella Guarigione), presenti nella coeva miniatura costantinopolitana.
La narrazione si esaurisce in genere in ciascuna formella, e è interessante notare come la scelta di alcune scene ribadisca la natura umana e divina del Cristo, in opposizione all'arianesimo, secondo una lotta promossa in quegli anni proprio da Angilberto.


Lo stile della parte posteriore, attribuita a Vuolvinio stesso, è più austero ed essenziale, con gesti eloquenti delle figure, ma mai dinamici. Le figure inoltre si stagliano su sfondo neutro, con corpi plastici e dal panneggio fasciante. Numerosi sono qui i rimandi tra scena e scena nei vari pannelli, che a differenza del lato anteriore, creano una lettura più concatenata, come in un unico racconto.

Le scene raffigurate da Vuolvinio erano spesso inedite, per cui dovette inventarsi nuove impostazioni senza precedenti iconografici definiti. Anche qui, più che nel lato anteriore, si leggono alcuni temi con riflessi prettamente politici e ideologici voluti da Angilberto:

L'elezione divina di Ambrogio e quindi di riflesso della Chiesa milanese, nelle scene del Miracolo delle api, di Ambrogio richiamato a Milano e di Cristo che visita il santo malato.
La polemica anti-ariana, nelle scene della Conversione di un ariano e dei Funerali di San Martino (San Martino di Tours è un santo che si dedicò strenuamente alla lotta dell'arianesimo);
La fondazione del diritto del vescovo a detenere il potere sulla città, con Ambrogio raffigurato come prototipo del missus dominicus degli imperatori carolingi.
Inusitata è la raffigurazione dell'artefice sugli sportelli a pari livello del vescovo, che testimonia il grande prestigio e la dignità che egli doveva godere quale magister.

Altro aspetto degno di nota è la presenza all'interno delle formelle di elementi appartenenti alla quotidianità del Santo, come le sue ciabattine posizionate sotto la sua branda. All'interno di ogni formella compare inoltre una didascalia in latino che racconta brevemente cosa sta avvenendo nella scena.


Bibliografia
Pierluigi De Vecchi, Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 1, Milano, Bompiani, 1999, ISBN 978-88-451-7107-9.
Giorgio Cricco, Francesco Paolo di Teodoro, Itinerario nell'arte, volume 2 (versione gialla), Bologna, Zanichelli, 2006, ISBN 978-88-08-24056-9.

Biografie: Niccolò (scultore)

Nicholaus, Niccolò (... – ...), è stato uno scultore italiano attivo tra il 1122 e il 1139 e fu tra i principali maestri italiani in epoca romanica.

Allievo o comunque conoscitore di Wiligelmo, è il primo maestro del quale si conosca un corpus di opere firmate, ben cinque, che permettono di ricostruire i suoi spostamenti attraverso l'Italia settentrionale.

La prima opera firmata è del 1122 e consiste nel portale di destra della facciata del Duomo di Piacenza, dove sono raffigurate le Storie di Cristo sull'architrave, mentre l'archivolto presenta complessi motivi vegetali e geometrici (non è scolpita la lunetta, secondo lo stile italiano più arcaico). Il suo stile è caratterizzato da un'efficace narrazione, ma da un rilievo piuttosto schiacciato, che è bilanciato da una maggiore raffinatezza nei dettagli e un preziosismo quasi "pittorico". Questo stile ebbe un largo seguito a Piacenza, come negli anonimi artisti delle formelle dei Paratici, nella navata centrale della basilica, che rappresentano le corporazioni di arti e mestieri che avevano finanziato la costruzione della cattedrale.

La seconda testimonianza di Nicolaus si trova nella sacra di San Michele, in Val di Susa, in Piemonte, dove verosimilmente lavorò tra il 1120 e il 1130. Vi si trova un protiro altissimo a più piani, dal quale si accede allo Scalone dei Morti, così chiamato perché anticamente era fiancheggiato dalle tombe. Qui si trova la Porta dello zodiaco, con gli stipiti decorati da rilievi dei segni zodiacali, che all'epoca erano un modo per rappresentare lo scorrere del tempo (quindi una sorta di memento mori). In questi rilievi, simili a quelli dei popoli fantastici nella Porta dei Principi di Modena, si riscontrano influenze del linearismo della scuola scultorea di Tolosa.

Nel 1135 Niccolò si trovava al Duomo di Ferrara per lavorare di nuovo a un protiro, dove per la prima volta venne scolpito anche il timpano, come si faceva già da un paio di decenni in Francia. Di sua mano sono la Statua di san Giorgio, protettore di Ferrara, e le Scene del Nuovo Testamento. Studi recenti gli attribuiscono anche il timpano del portale della Chiesa di San Romano.

Nel 1138 era nel cantiere della Basilica di San Zeno a Verona, ancora a lavoro a un timpano, del quale resta anche la policromia. All'interno, nella lunetta alcune scene dedicate alla storia cittadina di quei tempi. Vi è la consacrazione del comune veronese libero finalmente dalle servitù feudali verso l'impero tedesco. Al centro della lunetta si trova un San Zeno benedicente mentre calpesta il demonio che simboleggia il paganesimo sconfitto simbolo anche del coevo potere imperiale identificato come il male. Ai lati di San Zeno sulla destra i rappresentanti della nobiltà veronese e delle famiglie dei mercanti a cavallo (gli equites) e a sinistra i rappresentanti del popolo, dei fanti armati (i pedites). San Zeno, nella scena, consegna una bandiera ai veronesi, una sorta di investitura di derivazione sacra, l'affresco è accompagnato da una scritta in latino: Il Vescovo dà al popolo la bandiera degna di essere difesa / San Zeno dà il vessillo con cuore sereno. Sotto la lunetta sono presenti alcuni bassorilievi che rappresentano i miracoli compiuti da san Zeno: l'esorcismo sulla figlia di Gallieno preda del demonio; un uomo salvato mentre precipitava nell'Adige su un carro; e i pesci che san Zeno pescatore donava.

Forse sono opere sue e della sua cerchia anche le scene dei pannelli di destra del portale:

Re Teodorico a cavallo e il cervo che lo guida all'inferno, forse da questi bassorilievi il Carducci trovò l'ispirazione
Scene della Genesi, derivate da quelle di Wiligelmo nel Duomo di Modena
Dio crea gli animali, Adamo, Eva;
Il peccato originale,
La cacciata dal paradiso terrestre
La condanna al lavoro.
Sopra fra le cariatidi, un leone e un ariete, un centauro e un cane musicisti che suonano.
Infine nel 1139 troviamo le ultime sue opere nel Duomo di Verona: una Madonna in Trono, un'Annunciazione ed un'Adorazione dei Magi sempre nel portale.

Da Wikipedia: Niccolò (scultore)

Bibliografia

Christine Verzár Bornstein, Portals and politics in the early Italian city-state. The sculpture of Nicholaus in context, Parma, Istituto di Storia dell'Arte Centro di Studi Medievali, 1988.
Evelyn Kain, The sculpture of Nicholaus and the development of a North Italian romanesque workshop, Wien, Böhlau, 1986.
Nicholaus e l'arte del suo tempo, atti del convegno (Ferrara, 1981) a cura di A. M. Romanini, 3 voll., Ferrara, Corbo, 1985.
Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 1, Bompiani, Milano 1999.