Chiese: Chiesa della Martorana

Titolo dell'opera: Chiesa della Martorana
Autore: n.n.
Anno di esecuzione: completata nel 1143
Luogo: Palermo

Come dimostrato da un diploma greco-arabo del 1143, da un'iscrizione greca all'esterno della facciata meridionale e dalla stessa raffigurazione musiva di dedicazione, la chiesa fu fondata nel 1143 per volere di Giorgio d'Antiochia, grande ammiraglio siriaco di fede ortodossa al servizio del re normanno Ruggero II dal 1108 al 1151. Costruita da artisti orientali secondo il gusto bizantino, si trovava nei pressi del vicino monastero benedettino, fondato dalla nobildonna Eloisa Martorana nel 1194, motivo per il quale diventò nota successivamente come "Santa Maria dell'Ammiraglio" o della "Martorana" (precedentemente Giorgio l'Antiocheno fece edificare anche il possente "Ponte Ammiraglio" sul fiume Oreto, noto anche per una battaglia dei garibaldini). All'edificio sacro, che nel corso dei secoli è stato più volte distrutto e restaurato, si accede dal campanile: una costruzione a pianta quadrata del XIII secolo, aperta in basso da arcate a colonne angolari e con tre ordini di grandi bifore.

La chiesa possiede una pianta a croce greca, prolungata con il nartece e l'atrio. Un portale assiale (ancora esistente) da sull'atrio e il nartece, come nelle prime chiese cristiane. Al di là del nartece, l'edificio era sistemato e decorato come una chiesa bizantina a 4 colonne, tranne gli archi a sesto acuto e i pennacchi della cupola che erano di gusto islamico. Nel 1193 le case attorno vengono adibite a Convento basiliano per le donne e la chiesa verrà poi ad esso inglobata. Attorno al 1394 avviene la fondazione del convento della Martorana (dal nome dei proprietari) che sarà ceduto ai Benedettini dalla corona d'Aragona e che darà poi il nome alla chiesa.

Nel XVI secolo la chiesa ortodossa cade in un periodo di abbandono, passando al rito latino. Negli anni 1683-1687, per adeguarla alle esigenze del nuovo rito, l'abside centrale viene distrutta e sostituita da una nuova abside rettangolare, progettata da Paolo Amato, e il prospetto meridionale viene abbattuto. Nel 1740 Nicolò Palma progetta un nuovo prospetto, secondo il gusto barocco dell'epoca.

Nel 1846 si realizza l'abbassamento del piano della piazza e viene realizzata la scalinata. In considerazione dell'alto valore artistico della chiesa, tra il 1870 e il 1873, su direzione dell'arch. Giuseppe Patricolo, si realizzò il suo restauro. Nell'intento di riportare la chiesa allo stato originario, furono staccati i marmi settecenteschi delle pareti laterali del presbiterio (di cui era prevista la distruzione) e fu accentuato il muro di chiusura originale. La chiesa venne riportata per gran parte al suo aspetto medievale originario eccetto che per la navata e per l'abside centrale. Della fine del XIX secolo la chiesa cadde in stato di abbandono, quindi sotto l'amministrazione civile-comunale, sino al ritorno al culto orientale nella prima metà del XX secolo per conto della comunità albanese di Sicilia. La chiesa assunse il titolo di San Nicolò dei Greci (per "greci" erano scambiate quelle popolazioni albanesi che, dal XV secolo in Italia e Sicilia, conservavano "rito greco"-bizantino, lingua, costumi, identità) dopo che l'omonima chiesa - degli albanesi in Palermo - fu distrutta nel secondo conflitto mondiale. Fu così che la chiesa ha ereditato anche la sede della secolare parrocchia bizantina italo-albanese. La chiesa è stata recentemente restaurata e la sede della parrocchia fu momentaneamente accolta nella chiesa del SS.mo Salvatore delle suore basiliane italo-albanesi in Palermo.


Oggi la chiesa di San Nicolò dei Greci non possiede un vero e proprio territorio parrocchiale, ma è il punto di riferimento per più di 15.000 fedeli albanesi d'Italia, gli arbëreshë, di rito greco-bizantino residenti nella città di Palermo.

[...] Entrati nel primo corpo della costruzione - rifacimento settecentesco con volte affrescate da Olivio Sozzi, Antonio Grano e Guglielmo Borremans - due decorazioni musive sul fronte del corpo originario raffigurano uno Ruggero II vestito da imperatore bizantino e incoronato re per mano di Gesù Cristo; l'altro la dedicazione della chiesa alla Vergine da parte dell'ammiraglio d'oriente Giorgio d'Antiochia, quest'ultimo rappresentato in umile atto di prostrazione dinanzi alla Madonna.[...]


Giorgio d'Antiochia
Ruggero II

Da Wikipedia: Chiesa della Martorana

La miniatura nell'epoca di Carlo il Calvo

Scena di dedica da parte dell'abate di San Martino a Tours, il conte Vivien
(Carlo il Calvo riceve dei monaci al Concilio di Tours)

La miniatura carolingia raggiunse il suo apogeo con Carlo il Calvo. Il lavoro di avvicinamento nei riguardi dei modelli antichi compiuto dallo scriptorium dell'abbazia di Tours giunse, sotto la guida dell'abate Adalardo (834-843) e del conte Viviano (843-851), agli esiti testimoniati dalla Prima Bibbia di Carlo il Calvo o Bibbia di Viviano (846), miniata da un artista che aveva avuto modo di visionare le novità provenienti da Reims, e dall'Evangeliario di Lotario. Il monastero di Tours fu distrutto dai Normanni nell'853 e il ruolo di sede dello scriptorium di corte di Carlo il Calvo venne ereditato dalla basilica di Saint-Denis dove si produssero verso l'870 opere riccamente miniate come il Codice aureo di Sant'Emmerano e la Bibbia di Saint-Paul. Il Codice aureo è così denominato per l'uso particolarmente esteso dell'oro, caratteristica che è stata messa in relazione con la metafisica della luce di matrice plotiniana, ripresa da Scoto Eriugena e destinata ad avere grande importanza nel pensiero medievale.


La Prima Bibbia di Carlo il Calvo detta anche Bibbia del conte Vivien o Bibbia Vivien è un manoscritto miniato del IX secolo della Bibbia riccamente miniato.
Il manoscritto consta di 423 fogli di pergamena.
L'opera fu commissionata dal conte Vivien abate laico dell'abbazia di Marmoutier a Tours e fu donata al re franco Carlo il Calvo nel 846, durante una sua visita al monastero. È la terza opera conosciuta uscita dallo scriptorium dell'abbazia dopo la Bibbia di Bamburgh e la Bibbia di Grandval Moutier.












Bibliografia

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Liana Castelfranchi Vegas, L'arte medievale in Italia e nell'occidente europeo, Milano, Jaca Book, 1993.
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(DE) Karl Klaus Walther, Lexikon der Buchkunst und der Bibliophilie, München, Weltbild, 1995.
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(DE) Johannes Laudage, Lars Hageneier e Yvonne Leiverkus, Die Zeit der Karo, Darmstadt, Primus-Verlag, 2006, ISBN 3-89678-556-7.

Lamina di re Agilulfo

Titolo dell'opera: Lamina di re Agilulfo
Autore: n.n.
Anno di esecuzione: V secolo
Luogo: Firenze (Museo Nazionale del Bargello)


La Lamina di re Agilulfo, nota anche come Trionfo di re Agilulfo, è un manufatto in bronzo lavorato a sbalzo e dorato, di forma trapezoidale (il bordo inferiore presenta due rientranze semicircolari) che misura 18,9 cm in lunghezza e 6,7 cm in altezza, prodotto da orafi longobardi intorno al VII secolo, riproducente una scena di trionfo. Si trova ora conservata a Firenze nel Museo Nazionale del Bargello.

Resta il dubbio sulla natura e sulla funzione di tale lamina: storici e archeologi si dividono tra chi presuppone che essa sia il frontale di un elmo e chi invece rifiuta tale teoria, ipotizzando che la lamina fosse in realtà la decorazione di un oggetto prezioso, forse un reliquiario.

La lamina è stata interpretata come un manufatto prodotto in riferimento all'assedio di Roma del 593 che costrinse papa Gregorio Magno a versare trecento libbre d'oro per evitare il sacco della città, subendo l'imposizione di subordinazione dei vinti - che sotto l'aspetto religioso implicava un riconoscimento di superiorità dell'arianesimo.

Il reperto venne trovato presso le rovine di un castello nella Val di Nievole, sul confine che divideva il territorio longobardo da quello bizantino nel 593.

La lamina, lavorata a sbalzo, presenta una decorazione continua sull'intera superficie: al centro una figura riccamente vestita siede in trono, ripreso frontalmente con la mano destra in posizione di allocutio e con la sinistra stringete una spada; ai lati due guerrieri, bardati con armature dalla foggia barbarica, con elmi conici a spicchi coronati da un pennacchio, lance e scudi rotondi con umboni. Convergono verso il gruppo centrale (in maniera simmetrica) due vittorie alate - segno del tentativo di contaminatio tra arte longobarda e modelli classici -: entrambe impugnano con la mano che si rivolge al trono una cornucopia a forma di corno potorio, mentre nell’altra mano sostengono un labaro con la scritta "VICTVRIA" punzonata. Ciascuna vittoria precede un gruppo di due persone che sembrano uscire da una torre stilizzata (simbolo di una città): il primo (con le gambe genuflesse) compie un gesto di riverenza e di offerta, mentre il secondo porge al sovrano una corona sormontata da una croce.
La figura al centro è circondata dalla scritta punzonata "DN AG IL V REGI" ("Al signore re Agilulfo"), che identificherebbe il personaggio con Agilulfo, re longobardo dal 591 al 616; tuttavia, riguardo a tale identificazione sono stati sollevati dubbi, in quanto alcuni ritengono che la scritta sia una falsificazione operata nel corso del XIX secolo.

Le figure costruite in maniera paratattica, ovvero accostate senza tener conto della profondità spaziale, sembrano prive di peso, ma nonostante questo, i personaggi, dai volti volutamente espressionistici, tanto da assumere un carattere grottesco, sono rese con un modellato che ridà un certo senso plastico e, nella minuta descrizione dell'abbigliamento, rivela un intento naturalistico. La frontalità dei personaggi centrali e la distribuzione simmetrica delle figure sono caratteri di origine bizantina.

Da Wikipedia: Lamina di re Agilulfo


  • Bibliotheca Sanctorum, Roma 1966
  • Piero Adorno, L'Alto Medioevo in L'arte italiana, Firenze, D'Anna, 1992, Vol. 1, tomo II, pp. 558-579..
  • Giulio Carlo Argan, I primi secoli del Cristianesimo in Storia dell'arte italiana, 25ª ed., Firenze, Sansoni, 1992, Vol. 1, pp. 191-237., ISBN 88-383-0803-9.
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  • (EN, DE) Cristina La Rocca, Stefano Gasparri, Forging an early medieval royal couple: Agilulf, Theodolinda and the "Lombard Treasure" (1888-1932) in Archäologie der Identität, Vienna, 2010, pp. 269-287..
  • Maria Silvia Lusuardi Siena, Una precisazione sulla lamina di Agilulfo dalla Valdinievole in Studi di storia dell’arte in onore di Maria Luisa Gatti Perer, Milano, 1999, pp. 15-26..
  • Natale Rauty, Il Regno Longobardo e Pistoia, Pistoia, 2005.
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  • Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 1, Bompiani, Milano 1999. ISBN 88-451-7107-8