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Pietro Lorenzetti: Entrata di Cristo in Gerusalemme

Titolo dell'opera: Entrata di Cristo in Gerusalemme
Autore: Pietro Lorenzetti
Anno di esecuzione: 1310 - 1319
Luogo: Assisi (Basilica inferiore)



L'Entrata di Cristo in Gerusalemme è un affresco di Pietro Lorenzetti, facente parte delle Storie della Passione di Cristo nel transetto sinistro della basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. Il ciclo è databile al 1310-1319 circa.

L'Entrata di Cristo in Gerusalemme è la prima scena del ciclo e si trova sulla volta a botte. L'artista la rappresentò partendo da un'iconografia tradizionale (Cristo che avanza da sinistra verso destra seguito dagli Apostoli, con la gente di Gerusalemme che gli si fa incontro uscendo dalla città sul lato opposto), rinnovandola però con alcune invenzioni di grande effetto.

I due gruppi di figure in incastrano infatti lungo i bordi del dipinto generando un angolo ottuso molto divaricato, che ha il vertice nella figura di Cristo, in primo piano vicino allo spettatore. Egli incede sull'asinello entro un sontuoso mantello blu bordato d'oro, e avanza benedicendo la folla, la quale al suo passaggio lancia rami di ulivo (come i due fanciulli sulla terrazza rocciosa a sinistra, uno dei quali si sta arrampicando su un albero) e e stende drappi sulla via.

In questo angolo di figure se ne incunea un secondo, dai lati paralleli, formato dalle mura di Gerusalemme, dalla porta urbica e dagli edifici monumentali che sporgono con scorci arditi, prospetticamente validi ma non raccordati a un unico punto di fuga. L'effetto compositivo è quello di una tridimensionalità spaziale estremamente dilatata. Tutta la scena è ricca di dettagli minuti e preziosi. Ad esempio le forme e le decorazioni degli edifici (la rotonda con archetti rampanti, il palazzo con i medaglioni, i portafiaccole, gli scudi araldici appesi, il balcone con la pertica su cui è steso un asciugamano, e la scaletta lignea interna, la porta cittadina con intarsi comsateschi, volta stellata a crociera e un finto mosaico con due figure a monocromo su fondo oro), dove spesso i trafori mostrano sottili stralci di cielo, oppure le pose sinuose e le vesti eleganti del gruppo di cittadini a destra, che in alcuni dettagli anticipano lavori di Ambrogio Lorenzetti che da qui trasse ispirazione, come negli Effetti del Buon Governo. Se questa metà è sostanzialmente gotica, nel fluire delle linee, in quella sinistra le linee sono più sobrie e le figure degli apostoli sono modellate attraverso i volumi dei panneggi, finemente chiaroscurati in tonalità più intense: evidente è la derivazione dal modello di Giotto. Gli apostoli sono colti ciascuno nella propria individualità: in primo piano si riconosce Giuda Iscariota, già senza aureola, vicino a san Pietro col quale scambia uno sguardo. Dietro di loro un altro, forse Giacomo il maggiore, è distratto dai bambini che lanciano l'ulivo, e ruota vistosamente la testa. Un altro particolare realistico e affettuoso è quello del bambino rossovestito che, dall'altro lato, fa capolito tra due ragazzi con vesti azzurre, affaciiandosi da una sorta di sipario come dipingerà poi Ambrogio Lorenzetti nel figlio del calzolaio, sempre nel Buon Governo.

Splendida è in tutta la scena la ricchezza cromatica, mai scontata, intonata su colori tenui e su una gamma di bruni che, con il cielo azzurro in blu oltremarino, fanno particolarmente risaltare i dettagli in oro, testimonianza della sontuosità raggiunta dalla decorazione della basilica in quel periodo.


Bibliografia:

Chiara Frugoni, Pietro e Ambrogio Lorenzetti, in Dal Gotico al Rinascimento, Scala, Firenze 2003. ISBN 88-8117-092-2

Pietro Lorenzetti

Pietro Lorenzetti

Le notizie sicure sulla vita di Pietro Lorenzetti sono assai scarse e si limitano, in massima parte, alle date che egli appose sui suoi lavori (quattro pervenute) e a qualche documento. Non se ne conosce né la data di nascita, né quella di morte, calcolabili solo in maniera approssimativa. Né tantomeno offre un aiuto sostanziale la biografia che di lui redasse Giorgio Vasari, la prima, poiché sebbene lo storico aretino si dilunghi in elogi dell'opera del Lorenzetti, egli compì alcuni macro-errori proprio a partire dal nome, che travisò in "Pietro Laurati" mal leggendo la firma "Petrus Laurentii" della Madonna oggi agli Uffizi, e non mettendo mai in relazione l'artista col fratello Ambrogio, nonostante egli avesse potuto leggerne le firme in quanto frater nei perduti affreschi della facciata dell'ospedale di Santa Maria della Scala a Siena.
Inoltre non gli assegnò la sua opera più importante, ovvero gli affreschi nel transetto sinistro della basilica inferiore di Assisi, assegnandoli a Puccio Capanna, Pietro Cavallini e Giotto. Ritenne infine erroneamente di sua mano la Tebaide nel Camposanto monumentale di Pisa.

Lorenzo Ghiberti invece non nominò mai Pietro, assegnando anche gli affreschi di Santa Maria della Scala al solo Ambrogio e dimostrando come neanche lui ne avesse letta la firma. La sua formazione dovette compiersi sotto Duccio di Buoninsegna, assieme al coetaneo Simone Martini.


da Wikipedia: Pietro Lorenzetti

Pietro Lorenzetti - Flagellazione davanti a Pilato

Titolo dell'opera: Flagellazione davanti a Pilato
Anno di esecuzione: 1310 - 1319
Luogo: Assisi (Transetto sinistro)


La scena è celebre per la complicata articolazione architettonica e per la vivacità dei dettagli. A differenza delle scene precedenti, è ormai giorno e sono sparite le stelle: l'artista in più scene dimostrò un vivo interesse per la rappresentazione dello scorrere del tempo.

Sulla piattaforma rialzata e decorata da mosaici cosmateschi della stanza di Pilato, retta da sottili colonnine e aperta verso l'esterno, sta svolgendosi la flagellazione di Cristo. Pilato, affiancato da due armigeri in sfavillanti armature, dà il via al martirio con un gesto d'imperio. 


















Il Cristo subisce paziente la flagellazione, operata da due sgherri, mentre da sinistra, dalla porta, una piccola folla assiste alla scena, spesso appoggiandosi alla balaustra e abbracciando la colonnetta d'angolo.

La parte superiore dell'affresco mostra una ricca decorazione architettonica, fatta di arcate decorate da piccole volute e da statue, le quali sembrano quasi prendere vita: dei leoni variamente atteggiati e putti, uno dei quali tiene un levriero, uno suona in un corno, uno guarda un cane che insegue una lepre girandogli intorno. A destra poi è presente una piccola e rarissima, per l'epoca, scena di genere: da una trifora un bambino, osservato placidamente dalla madre, tiene una scimmietta al guinzaglio, che si avventura sul cornicione dentellato. Si è provato a spiegare questo curiosissimo inserto in termini esegesi o evangelici (come la rappresentazione della moglie e del figlio di Pilato), ma la critica più recente tende ad ammettere la possibilità che il Lorenzetti fosse affascinato dalla vita quotidiana, inserendola nelle scene di contorno del ciclo, come era avvenuto nell' Ultima Cena dove un servo dà da mangiare gli avanzi a un cagnolino.

Bibliografia: Chiara Frugoni

Pietro Lorenzetti - Ultima Cena

Titolo dell'opera: Ultima Cena
Anno di esecuzione: 1310 - 1319
Luogo: Assisi (Transetto sinistro)


L’opera fa parte del ciclo “Storie della passione di Cristo” e mostra la scena dell' Ultima Cena in un originale padiglione esagonale, dove gli apostoli sono seduti in circolo attorno a Gesù, entro una prospettiva ribaltata e dilatata. 


Il fulcro sono Cristo e Giovanni, appoggiato alla sua spalla, che sono stati paragonati a "una perla fra le valve di una conchiglia semiaperta". 
















Ben studiata è la disposizione degli apostoli, così come il digradare delle travi nel soffitto, illuminate dal basso su uno sfondo notturno (si vede un sottilissimo spicchio di luna in alto a sinistra). 


Lorenzetti fu uno dei primi artisti (forse il primo in assoluto) a richiamare l'attenzione dello spettatore sul variare del tempo atmosferico nello scorrere delle ore. 









A sinistra poi si apre un celebre scorcio di cucina, in cui un uomo ben vestito, forse il padrone della locanda, si rivolge a un servitore con un gesto colloquiale, poggiandogli una mano sulla spalla e indicando col pollice dell'altra la destra, come a dirgli di affrettarsi a servire gli ospiti. Con tale gesto lega di fatto le due parti. L'uomo inginocchiato sta infatti pulendo i piatti davanti al camino col fuoco scoppiettante, dove un cagnolino sta leccando gli avanzi e un gatto riposa accucciato. Si tratta di uno spaccato di vita quotidiana veramente innovativo per l'epoca, che mai si trova, ad esempio, nelle composizioni "classiche" di Giotto e dei suoi seguaci più stretti. Alcuni hanno provato anche a spiegare la scena in termini simbolici ed esegetici, giungendo a possibili soluzioni, sebbene non conclusive. Ad esempio si è posto l'accento sulla luce che sprigiona il falò generando le ombre di tutta la scena (a partire da quella del vicino cagnolino e del gatto), che alluderebbe al sacrificio del fuoco dell'Antico Testamento, che si rinnova nell'Eucarestia e nell'imminente crocifissione. Il cagnolino può ricordare un passo di San Bonaventura in cui si parla, a proposito della Cena del Signore, di coloro che sono esclusi dal banchetto eucaristico perché vogliono la carne reale dell'agnello sacrificale come i cani, a differenza di quelli che cercano la carne spirituale. Strano sarebbe però che il cane simboleggi i peccatori, mentre il vicino gatto niente. Inoltre appare forzata la lettura dell'asciugamano con cui si puliscono i piatti con gli scialli liturgici del sacrificio, anche perché gli stessi ricompaiono identici nella pala della Natività della Vergine a coprire i cesti delle vivande portate a sant'Anna: si tratta semplicemente di oggetti di uso comune tratti dalla quotidianità di allora.
Un pezzo di virtuosistica bravura è anche la stanzetta in sé, con la cappa del camino scorciata obliquamente, nonché la presenza di mensole sulle quali il pittore creò delle piccole "nature morte", care al suo fare artistico. Le statue di putti con cornucopie sotto i pinnacoli del padiglione sono più vive che mai, secondo una tecnica bizzarra e fantasiosa che si ritrova anche in altre scene, in particolar modo nella Flagellazione.




Bibliografia: Chiara Frugoni