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Arte Medievale: Ravenna - Parte 1

Ravenna è una tappa obbligata nello studio e nella comprensione dell'arte medievale, a Ravenna prende vita il vero senso dell'arte musiva che, come abbiamo già avuto modo di dire nell'introduzione all'arte medievale, non sarà possibile vedere in nessuna altra parte dell'impero (Roma, Milano, Costantinopoli etc.) proprio perché Ravenna è rimasta immune da qualsiasi agente esterno quali saccheggi, devastazioni etc.
Iniziamo con lo studio di uno degli emblemi di Ravenna: il mausoleo di Galla Placidia.

Si tratta di una costruzione di piccole proporzioni ma che al suo interno racchiude una delle perle dell'arte musiva internazionale; prima di tutto "chi era Galla Placidia"?
Galla Placidia visse intorno alla metà del IV secolo (450 d.C. circa) ed era figlia del grande imperatore Teodosio, era anche Augusta d'occidente nonché moglie di Costanzo III (patrizio); fu nel 450 che volle edificare il suo sacello funerario.
Dobbiamo quindi tener ben presente quanto detto nella parte introduttiva, ovvero della forte connotazione simbolica che riscontriamo in questo periodo della storia dell'arte ed in particolar modo a Ravenna.

Forte è il simbolismo rappresentato nel personaggio del "Buon Pastore" posto sopra la porta d'ingresso del piccolo Mausoleo, è infatti una rappresentazione simbolica del Cristo che "pascola" le greggi che rappresentano la gente cristiana.
E' importante sottolineare che gli elementi naturalistici sono usati in questo caso per dare un significato simbolico, mentre nei mosaici di epoca classica non avevano questo connotato simbolico; emblema di questo tipo di utilizzo è il paragone tra gli uccelli mosaicati di epoca romana e quelli di Galla Placidia.






Qui potete notare il mosaico di Galla Placidia.










Questo invece il mosaico di epoca romana; evidenti sono le somiglianze tra i due, ma differenti sono i messaggi che vogliono trasmettere.







Nello stesso periodo di Galla Placidia, abbiamo la costruzione del Battistero Neoniano (voluto da Neone); si tratta di una costruzione ottagonale (anche questo è un chiaro riferimento simbolico), al cui interno sono presenti marmi, stucchi e mosaici.
Al pari del Battistero Neoniano troviamo il Battistero degli ariani (in contrapposizione con i Cristiani, relativamente alla "natura di Cristo"), il quale ricalca l'esperienza del Battistero Neoniano ma ne semplifica i contenuti; abbiamo qui una tecnica musiva più rozza e approssimata rispetto al Battistero Neoniano.

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Pietro Lorenzetti

Pietro Lorenzetti

Le notizie sicure sulla vita di Pietro Lorenzetti sono assai scarse e si limitano, in massima parte, alle date che egli appose sui suoi lavori (quattro pervenute) e a qualche documento. Non se ne conosce né la data di nascita, né quella di morte, calcolabili solo in maniera approssimativa. Né tantomeno offre un aiuto sostanziale la biografia che di lui redasse Giorgio Vasari, la prima, poiché sebbene lo storico aretino si dilunghi in elogi dell'opera del Lorenzetti, egli compì alcuni macro-errori proprio a partire dal nome, che travisò in "Pietro Laurati" mal leggendo la firma "Petrus Laurentii" della Madonna oggi agli Uffizi, e non mettendo mai in relazione l'artista col fratello Ambrogio, nonostante egli avesse potuto leggerne le firme in quanto frater nei perduti affreschi della facciata dell'ospedale di Santa Maria della Scala a Siena.
Inoltre non gli assegnò la sua opera più importante, ovvero gli affreschi nel transetto sinistro della basilica inferiore di Assisi, assegnandoli a Puccio Capanna, Pietro Cavallini e Giotto. Ritenne infine erroneamente di sua mano la Tebaide nel Camposanto monumentale di Pisa.

Lorenzo Ghiberti invece non nominò mai Pietro, assegnando anche gli affreschi di Santa Maria della Scala al solo Ambrogio e dimostrando come neanche lui ne avesse letta la firma. La sua formazione dovette compiersi sotto Duccio di Buoninsegna, assieme al coetaneo Simone Martini.


da Wikipedia: Pietro Lorenzetti

Santo Stefano (Giotto)

Titolo dell'opera: Santo Stefano
Autore: Giotto
Anno di esecuzione: 1330 - 1335
Luogo: Firenze (Museo Horne)



Il Santo Stefano è un dipinto a tempera e oro su tavola (84x54 cm) di Giotto, databile al 1330-1335 circa e conservato nel Museo Horne a Firenze.

Per le misure e la forma della tavola l'opera era generalmente associata alla Madonna col Bambino della National Gallery di Washington e ai due santi del Museo Jacquemart-André di Chaalis, San Giovanni Evangelista e San Lorenzo, con i quali si pensava formasse in origine un polittico a cinque scomparti magari da identificare con uno di quelli ricordati dalle fonti in Santa Croce con un quinto pannello perduto.

Una parte della critica però registrava, oltre a lievi differenze nella forma della cornice, un evidente divario stilistico, soprattutto tra lo stradordinario Santo Stefano e le più povere tavole di Chaalis. Indagini recenti e più approfondite hanno definitivamente messo in luce come il pannello fiorentino sia però preparato a terra verde, mentre quelli francesi a terra rossa, per cui sicuramente di diversa provenienza.

La tavola del Santo Stefano è collocata nell'estrema fase produttiva del maestro, dopo le pitture della Cappella Bardi.

Santo Stefano, riconoscibile per i sassi sulla testa, allusione alla sua lapidazione, e per la dalmatica, è raffigurato a mezza figura, con una semplice aureola punzonata sullo sfondo oro uniforme. Figura di estrema eleganza, è rivolto a destra e regge, con una mano affusolata e geometrica, un libro rosso rilegato con decorazioni ad oro zecchino. Il disegno appare prezioso, il colore ricercatissimo. Finissima è la veste, con straordinari ricami al collo, al petto, ai bordi lungo le spalle e ai polsi. Un lembo di tessuto, dallo fodera rossa, iridescente di riflessi dorati, copre per metà il libro e ricade pesantemente verso il basso, con pieghe molto realistiche.


Da Wikipedia: Santo Stefano (Giotto)

Bibliografia:
Maurizia Tazartes, Giotto, Rizzoli, Milano 2004. ISBN non esistente
Edi Baccheschi, L'opera completa di Giotto, Rizzoli, Milano 1977. ISBN non esistente

Pietro Lorenzetti - Flagellazione davanti a Pilato

Titolo dell'opera: Flagellazione davanti a Pilato
Anno di esecuzione: 1310 - 1319
Luogo: Assisi (Transetto sinistro)


La scena è celebre per la complicata articolazione architettonica e per la vivacità dei dettagli. A differenza delle scene precedenti, è ormai giorno e sono sparite le stelle: l'artista in più scene dimostrò un vivo interesse per la rappresentazione dello scorrere del tempo.

Sulla piattaforma rialzata e decorata da mosaici cosmateschi della stanza di Pilato, retta da sottili colonnine e aperta verso l'esterno, sta svolgendosi la flagellazione di Cristo. Pilato, affiancato da due armigeri in sfavillanti armature, dà il via al martirio con un gesto d'imperio. 


















Il Cristo subisce paziente la flagellazione, operata da due sgherri, mentre da sinistra, dalla porta, una piccola folla assiste alla scena, spesso appoggiandosi alla balaustra e abbracciando la colonnetta d'angolo.

La parte superiore dell'affresco mostra una ricca decorazione architettonica, fatta di arcate decorate da piccole volute e da statue, le quali sembrano quasi prendere vita: dei leoni variamente atteggiati e putti, uno dei quali tiene un levriero, uno suona in un corno, uno guarda un cane che insegue una lepre girandogli intorno. A destra poi è presente una piccola e rarissima, per l'epoca, scena di genere: da una trifora un bambino, osservato placidamente dalla madre, tiene una scimmietta al guinzaglio, che si avventura sul cornicione dentellato. Si è provato a spiegare questo curiosissimo inserto in termini esegesi o evangelici (come la rappresentazione della moglie e del figlio di Pilato), ma la critica più recente tende ad ammettere la possibilità che il Lorenzetti fosse affascinato dalla vita quotidiana, inserendola nelle scene di contorno del ciclo, come era avvenuto nell' Ultima Cena dove un servo dà da mangiare gli avanzi a un cagnolino.

Bibliografia: Chiara Frugoni

Pietro Lorenzetti - Ultima Cena

Titolo dell'opera: Ultima Cena
Anno di esecuzione: 1310 - 1319
Luogo: Assisi (Transetto sinistro)


L’opera fa parte del ciclo “Storie della passione di Cristo” e mostra la scena dell' Ultima Cena in un originale padiglione esagonale, dove gli apostoli sono seduti in circolo attorno a Gesù, entro una prospettiva ribaltata e dilatata. 


Il fulcro sono Cristo e Giovanni, appoggiato alla sua spalla, che sono stati paragonati a "una perla fra le valve di una conchiglia semiaperta". 
















Ben studiata è la disposizione degli apostoli, così come il digradare delle travi nel soffitto, illuminate dal basso su uno sfondo notturno (si vede un sottilissimo spicchio di luna in alto a sinistra). 


Lorenzetti fu uno dei primi artisti (forse il primo in assoluto) a richiamare l'attenzione dello spettatore sul variare del tempo atmosferico nello scorrere delle ore. 









A sinistra poi si apre un celebre scorcio di cucina, in cui un uomo ben vestito, forse il padrone della locanda, si rivolge a un servitore con un gesto colloquiale, poggiandogli una mano sulla spalla e indicando col pollice dell'altra la destra, come a dirgli di affrettarsi a servire gli ospiti. Con tale gesto lega di fatto le due parti. L'uomo inginocchiato sta infatti pulendo i piatti davanti al camino col fuoco scoppiettante, dove un cagnolino sta leccando gli avanzi e un gatto riposa accucciato. Si tratta di uno spaccato di vita quotidiana veramente innovativo per l'epoca, che mai si trova, ad esempio, nelle composizioni "classiche" di Giotto e dei suoi seguaci più stretti. Alcuni hanno provato anche a spiegare la scena in termini simbolici ed esegetici, giungendo a possibili soluzioni, sebbene non conclusive. Ad esempio si è posto l'accento sulla luce che sprigiona il falò generando le ombre di tutta la scena (a partire da quella del vicino cagnolino e del gatto), che alluderebbe al sacrificio del fuoco dell'Antico Testamento, che si rinnova nell'Eucarestia e nell'imminente crocifissione. Il cagnolino può ricordare un passo di San Bonaventura in cui si parla, a proposito della Cena del Signore, di coloro che sono esclusi dal banchetto eucaristico perché vogliono la carne reale dell'agnello sacrificale come i cani, a differenza di quelli che cercano la carne spirituale. Strano sarebbe però che il cane simboleggi i peccatori, mentre il vicino gatto niente. Inoltre appare forzata la lettura dell'asciugamano con cui si puliscono i piatti con gli scialli liturgici del sacrificio, anche perché gli stessi ricompaiono identici nella pala della Natività della Vergine a coprire i cesti delle vivande portate a sant'Anna: si tratta semplicemente di oggetti di uso comune tratti dalla quotidianità di allora.
Un pezzo di virtuosistica bravura è anche la stanzetta in sé, con la cappa del camino scorciata obliquamente, nonché la presenza di mensole sulle quali il pittore creò delle piccole "nature morte", care al suo fare artistico. Le statue di putti con cornucopie sotto i pinnacoli del padiglione sono più vive che mai, secondo una tecnica bizzarra e fantasiosa che si ritrova anche in altre scene, in particolar modo nella Flagellazione.




Bibliografia: Chiara Frugoni