Beato Angelico - Martirio di San Marco (Predella del Tabernacolo dei Linaioli)

Titolo dell'opera: Martirio di San Marco (Predella)
Autore: Beato Angelico
Anno di esecuzione: 1434
Luogo: Firenze (Museo di San Marco)




Il Tabernacolo dei Linaioli è un tempietto marmoreo di Lorenzo Ghiberti con pitture di Beato Angelico (tempera su tavola 260x330 cm). L'opera, conservata nel Museo nazionale di San Marco di Firenze, risale al 1432-1433.

Il tabernacolo è composto da una struttura marmorea rettangolare con cuspide triangolare, ove si trova una mandorla col Cristo benedicente e Angeli cherubini. Al centro, entro un'apertura ad arco, di trova la tavola dell'Angelico, con la Maestà incorniciata da una fascia con dodici angeli musicanti. Davanti si trovano due sportelli mobili dipinti su entrambi i lati con santi a tutta figura: all'esterno, visibili quando il tabernacolo è chiuso, si trovano San Marco Evangelista (sinistra) e San Pietro (destra); all'interno San Giovanni Battista (sinistra) e San Giovanni Evangelista (destra). La pala è completa di predella, divisa in tre pannelli con: San Pietro detta il Vangelo a san Marco, Adorazione dei Magi e Martirio di san Marco. La figura di Marco ricorre perché era il protettore della corporazione.

Il pannello centrale, sebbene fortemente danneggiato, presenta uno stile coerente con le prime opere dell'Angelico, con un gradino marmoreo sul quale si trova il seggio; oltre due drappi di tendaggi (richiamo all'attività tessile della corporazione?) si vede un soffitto dipinto come un cielo stellato (richiamo all'Annunciazione di Washington di Masolino) dove vola la colomba dello Spirito Santo.


Predella:

La terza scena mostra il Martirio di san Marco: il corpo del santo, trascinato per le vie di Alessandria, viene colto da una grandinata prodigiosa che mette in fuga gli aguzzini. La parte destra è occupata dalla rappresentazione della tempesta dalla quale fuggono concitatamente i personaggi, con azioni eloquenti che nell'opera dell'artista si ritrovano solo nelle scene della Vita dei santi Cosma e Damiano della pala di San Marco. La rappresentazione atmosferica della tempesta richiama il Miracolo della Neve del Sassetta a Siena, ma non trova riscontro nella pittura fiorentina.


Bibliografia

John Pope-Hennessy, Beato Angelico, Scala, Firenze 1981.
Guido Cornini, Beato Angelico, Giunti, Firenze 2000 ISBN 88-09-01602-5
Giulia Brunetti, Ghiberti, Sansoni, Firenze 1966.)

Fratelli Limbourg - Très riches heures del Duca di Berry

Titolo dell'opera: Très riches heures del Duca di Berry
Anno di esecuzione: 1414 circa
Luogo: Musée Condé di Chantilly


Il manoscritto, come ogni libro d'ore, consta di una parte destinata ai salmi e alle preghiere e di un'altra, quella a cui i Limbourg devono gran parte della loro celebrità, contenente la serie dei mesi: dodici miniature a tutta pagina (14 x 22 cm) accompagnate dal relativo calendario. In ogni foglio, sotto una lunetta dedicata ai segni zodiacali del mese, sono illustrati immensi e luminosi paesaggi in cui figure nobiliari s'occupano negli svaghi cortesi (scene per lo più riferite alla corte del committente) o contadini eseguono le attività agricole stagionali, mentre in lontananza svettano le guglie di una residenza o di un castello del duca di Berry.

I Limbourg divennero famosi grazie a tale lavoro, ma ne illustrarono solo la prima parte: infatti il manoscritto rimase interrotto a causa della prematura morte dei tre e del duca di Berry nel 1416, mentre le restanti miniature sarebbero state aggiunte circa settant'anni più tardi da Jean Colombe di Bourges, tra il 1485 e il 1489, su commissione di Carlo I di Savoia.

Perfettamente conservate, le miniature dei Mesi possiedono un'incredibile freschezza narrativa e denunciano una libertà compositiva fino ad allora inedita nei codici miniati. I colori sono vividi e luminosi e l'oro è reso a profusione negli ornamenti delle vesti dei nobili e nelle decorazioni degli sfondi. Nei mesi dell'anno raggiunsero in ciascuna dei magnifici paesaggi con una dilatazione spaziale mai vista prima, grazie anche all'uso di linee di forza diagonali e di delicate sfumature atmosferiche di profondità. Le figure spesso appaiono estranee allo sfondo o semplicemente giustapposte ad esso, creando una raffigurazione di favola, dove i personaggi si muovono come in un balletto.

I fratelli Limbourg riuscirono a fondere un minuzioso naturalismo a un raffinato formalismo lineare che andava divenendo in quegli anni carattere distintivo del gotico internazionale. Tutta la rappresentazione è infatti unificata da alcuni elementi stilistici comuni: le proporzioni esili, i contorni dalle linee sinuose e ritmate, i colori tenui e raffinati. I singoli fenomeni non venivano più rappresentati isolati nella loro specificità, ma andavano a concorrere nella pagina a formare una scena più ampia, che ricreasse una visione il più possibile globale e realistica. Tantissimi i virtuosismi, da quelli nella resa dei materiali ai più suggestivi effetti di luce.

Le figure sono trattate diversamente a seconda se si tratti di aristocratici o di contadini: le prime risultano elegantemente allungate e irrigidite in pose di idealizzazione cortese, mentre le seconde si mostrano più vivaci, libere e variamente disposte, talvolta a creare dei quadretti di genere che illustrano le più disparate scenette. L'approccio diversificato rivela il duplice gusto, naturalistico e spontaneo per i soggetti “bassi” e formalmente composto per quelli elevati, tipico del gotico internazionale. Pur convivendo in un'atmosfera fiabesca e irreale ― si notino i cieli azzurri e tersi, le praterie verdeggianti che recedono senza fratture, le fitte foreste da cui emergono castelli da sogno ―, le attitudini dei personaggi e la cura gelosa della verità nei suoi minimi aspetti, rendono queste miniature più spontanee, ma insieme raffinate, di qualunque altro codice coevo.

A tale risultato di estrema preziosità va senza dubbio ricondotta la passione del committente per i manufatti lussuosi; è inoltre molto probabile che i Limbourg ebbero l'opportunità di prendere spunto dalle opere d'arte della collezione del duca e di ricevere dallo stesso una partecipazione attiva e illuminata durante l'elaborazione del codice. All'interno del manoscritto sono risultate evidenti numerose derivazioni dalla miniatura lombarda (si pensi ai Taccuini di Giovannino de' Grassi), dalla pittura senese e perfino da quella giottesca, tanto che si è arrivati a supporre di un viaggio di Pol in Italia.

Aprile
Il tema del mese di Aprile è quello del fidanzamento, con un gruppo di aristocratici tra i quali si riconosce una coppia intenta a scambiarsi gli anelli. Il tema amoroso si addice bene al mese primaverile, con gli alberi in germoglio sullo sfondo. A destra viene mostrato un angolo di un giardino murato, dove le piante seminate stanno iniziando a crescere, mentre più in alto si vede un laghetto con una chiusa, all'interno del quale due barchette di pescatore stanno tendendo un rete. Il castello che sovrasta la scena è lo Château de Dourdan.



















Bibliografia

Luciano Bellosi, I Limbourg precursori di Van Eyck? Nuove osservazioni sui mesi di Chantilly, in «Prospettiva», 1975, n. 1.
M. Meiss e E. H. Beatson, The Belles Heures of Jean, Duke of Berry, New York, 1974.
Pietro Toesca, La pittura e la miniatura nella Lombardia, Torino, 1966.
C. Raymond, Giorni del Medioevo. Le miniature delle Très riches heures del duca di Berry, 2001.
Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999.

Cimabue - Crocifisso di San Domenico

Titolo dell'opera: Crocifisso di San Domenico ad Arezzo
Autore: Cimabue
Anno di esecuzione: 1265 circa
Luogo: Arezzo (San Domenico)



La somiglianza del crocifisso con quello bolognese di Giunta Pisano si spiega anche con un'esplicita richiesta dei domenicani aretini, essendo il crocifisso di Giunta conservato nella chiesa principale dell'ordine, la basilica di San Domenico a Bologna.

Da sempre conservato nella chiesa, il Crocifisso di Cimabue fu restaurato una prima volta nel 1917 e, più recentemente, nel 2005. Non è ricordato dalle fonti antiche e il primo a pubblicarlo fu Cavalcaselle nel 1875, che però lo attribuì a Margaritone d'Arezzo. Adolfo Venturi (1907) fu il primo a fare il nome di Cimabue, seguito con decisione dal Toesca (1927), che fu confermato da quasi tutti gli studiosi successivi.

La datazione si basa unicamente su dati stilistici e a poco sono valsi gli studi sull'origine della chiesa e del convento, che risultano fondati nel 1242 e ampliati in data imprecisata, probabilmente su impulso da Roma.






In questa opera Cimabue si orientò verso le recenti rappresentazioni della crocifissione con il Christus patiens, dipinte negli anni precedenti da Giunta Pisano e dal Maestro di San Francesco, ma aggiornò l'iconografia arcuando ancora maggiormente il corpo di Cristo, che ormai debordava occupando tutta la fascia alla sinistra della croce. Il corpo di Cristo, il tipo di panneggio e la decorazione della croce derivano da Giunta e la croce aretina potrebbe apparire come una semplice imitazione se non fosse per la particolare flessione, che si sforza di trovare un equilibrio fra realismo e intellettualismo, con effetto più dinamico ed espressivo, ma anche di geometrica purezza. Le linee di contorno accentuano la tensione muscolare del corpo ondeggiante. Il volume è accennato con più decisione, grazie al chiaroscuro intensificato.

Più dolce è il volto di Cristo, ottenuto con pennellate più sciolte e morbide, ma con uno stile ancora asciutto, quasi "calligrafico"; il colore è steso in un tratteggio sottile che imprime al corpo uno stacco dalla tavola. La smorfia di dolore è più realistica, in ossequio alle richieste degli ordini mendicanti. Il torace è segnato da una muscolatura tripartita, le mani appiattite sulla croce e i colori sontuosamente preziosi, sia per l'uso dell'oro che dello squillante rosso.

Un'altra novità rispetto al modello fu l'uso delle striature d'oro nel panneggio che copre il corpo di Cristo o nelle vesti dei due dolenti ("agemina"), un motivo introdotto da artisti come Coppo di Marcovaldo e derivato dalle icone bizantine.



Sempre ai modelli di Giunta rimandano le due figure nelle bandelle ai lati dei bracci della croce: Maria e San Giovanni raffigurati a mezzo busto in posizione di compianto, che guardando lo spettatore piegano la testa e l'appoggiano a una mano.

Nel tondo in alto (la cimasa aggiunta di un clipeo) è raffigurato il Cristo benedicente, opera di corredo probabilmente di un aiuto di bottega.



Bibliografia

Eugenio Battisti, Cimabue, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1963.
Enio Sindona, Cimabue e il momento figurativo pregiottesco, Rizzoli Editore, Milano, 1975. ISBN non esistente