Chiese: San Lorenzo in Palatio

Titolo dell'opera: San Lorenzo in Palatio
Autore: n.n.
Anno di esecuzione: 768 (prima attestazione)
Luogo: Roma (rione Monti)


La chiesa di San Lorenzo in Palatio è una chiesa di Roma, nel rione Monti, in piazza san Giovanni in Laterano.

La chiesa si trova all’interno del complesso edilizio che conserva la Scala Santa presso la basilica di San Giovanni in Laterano. In origine questo palazzo era il palazzo patriarcale, sede del vescovo di Roma, e la chiesa era la cappella privata del pontefice: oggi essa è ciò che resta dell’antico palazzo patriarcale. La più antica menzione della chiesa si trova nella biografia di papa Stefano III (768-772); essa fu restaurata da Onorio III (1216-1227) e ricostruita da Niccolò III (nel 1278); nel XVI secolo papa Sisto V fece traslocare qui la Scala Santa, che ora serve da accesso alla chiesa.

La chiesa è conosciuta anche come Sancta Sanctorum (lett. «le cose sante tra le sante»), nome che rievoca quella parte del tempio di Gerusalemme ove era custodita l’Arca dell'Alleanza, e questo titolo gli deriva dal fatto che in essa erano custodite le più preziose reliquie cristiane, tra cui il prepuzio di Gesù bambino, i suoi sandali, il divano su cui assistette all'ultima cena, il bastone con cui fu percosso il suo capo coronato di spine, le teste dei santi Pietro e Paolo, e molte altre. Molte di queste reliquie sono oggi scomparse o conservate altrove.

Internamente la chiesa è stata decorata dai Cosmati, secondo un’iscrizione interna: Magister Cosmatus fecit hoc opus.

Gli affreschi che si trovano sulla parte alta della cappella e sulla volta sono del XIII secolo. Nelle vele sono rappresentati i quattro evangelisti, sulla parete sopra l'altare ai fianchi della finestra a sinistra è raffigurato Niccolò III inginocchiato che offre il modellino della cappella con a lato i santi Pietro e Paolo, a destra il Cristo in trono con due angeli. A destra dell'ingresso sono raffigurate il martirio di san Pietro e san Paolo, di fronte all'altare, la Lapidazione di Santo Stefano e il Martirio di San Lorenzo, la Decapitazione di Sant'Agnese e il Martirio di San Nicola.

Alla base degli affreschi è presente una loggia denominata dei santi realizzata sotto il pontificato di Sisto V, probabilmente tra il giugno e luglio 1590 sotto la direzione dei pittori Cesare Nebbia e Giovanni Guerra a cui hanno preso parte molti artisti attivi a Roma in quel periodo[1].

L'altare conserva un’antichissima immagine di Gesù Redentore detta acheropita, cioè non dipinta da mano umana: la tradizione infatti narra che l’icona fu dipinta dall’evangelista Luca aiutato da un angelo. Questa immagine era molto venerata fin dal pontificato di Stefano II, il quale ordinò una processione per la città con la sacra immagine per implorare l’aiuto divino contro i Longobardi condotti da Astolfo. Nel XIII secolo la tavola fu adornata da una lamina d'argento per opera di papa Innocenzo III. Non si conosce esattamente l’origine di questa immagine: l’Armellini propone un’origine bizantina in epoca della lotta iconoclasta (VIII secolo).






Sopra l'altare vi è l'iscrizione: 

Non est in toto sanctior orbe locus ("non esiste al mondo luogo più santo di questo").

Bibliografia


Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Roma 1891, pp. 109-112.
Christian Hülsen, Le chiese di Roma nel Medio Evo, Firenze 1927, p. 291.
Patrizia Tosini, La loggia dei santi del Sancta Sanctorum: un episodio di pittura sistina, in AA.VV., Sancta Sanctorum, Milano 1995, pp. 202-223.
Claudio Rendina, Le Chiese di Roma, Newton & Compton Editori, Milano 2000, p. 179.

Egitto - Saqqara - Serapeum

Titolo dell'opera: Serapeum
Autore: -
Anno di esecuzione: -
Luogo: Saqqara (Egitto)

Il Serapeo di Saqqara, un'importante necropoli egizia situata presso Menfi, sorse sul complesso sepolcrale dei tori Api, ritenuti la manifestazione vivente del dio Ptah. Le più antiche sepolture dei tori sacri, imbalsamati e chiusi nei sarcofaghi, risalgono al regno di Amenofi III.

Nel XIII secolo a.C. Khaemuaset, figlio di Ramesse II, fece scavare nella montagna una galleria, sui cui lati vennero ricavate delle nicchie dove vennero alloggiati i sarcofaghi dei tori. Una seconda galleria, lunga 350 m, alta 5 m e larga 3 m, fu fatta costruire da Psammetico I ed in seguito utilizzata dai Tolomei.
Il viale delle 600 sfingi che collegava il sito alla città fu probabilmente opera di Nectanebo I.

La scoperta del Serapeo è dovuta a Auguste Mariette che scavò la maggior parte del complesso. Ma le sue note di scavo sono andate perdute e questo ha limitato l'utilità delle sepolture per stabilire una cronologia della storia egizia. Il problema consiste nella circostanza che dal regno di Ramesse XI al 23º anno di regno di Osorkon II, un periodo valutato in circa 250 anni, si conoscono solamente nove sepolture di tori, numero questo che include anche tre sepolture attualmente non note ma attestate da Mariette che disse di averle rilevate in una sala sotterranea troppo instabile per poter essere scavata. Gli egittologi ritengono che avrebbero dovuto esservi un maggior numero di sepolture di tori, nel periodo considerato, in quanto la vita media di un toro era di 25-28 anni, se non moriva prima, e quattro sepolture attribuite da Mariette al regno dei Ranmesse XI sono state retrodatate. Questa ha creato un vuoto di circa 130 anni che gli studiosi hanno cercato di colmare in vari modi. Secondo alcuni si deve rivedere tutta la cronologia della XX dinastia con uno spostamento in avanti delle date secondo altri studiosi esistono ulteriori sepolture di tori Api che non sono ancora state scoperte.

Da Wikipedia: Serapeo di Saqqara
Bibliografia
Auguste Mariette, Le Sérapéum de Memphis, découvert et décrit, Paris, Gide, 1857
Auguste Mariette, Le Sérapéum de Memphis, Paris, F. Vieweg, 1892
Jean Vercoutter, Textes biographiques du Sérapéum de Memphis: Contribution à l'étude des stèles votives du Sérapéum, Paris, Librairie ancienne Honoré Champion, 1962

Cristoforo Buondelmonti

Biografie: Cristoforo Buondelmonti

Cristoforo Buondelmonti (1386 – 1430 circa) è stato un geografo e monaco italiano studioso di antiche civiltà. Buondelmonti apparteneva ad un'importante famiglia nobiliare, estintasi nel secolo XVIII, che si era sviluppata nella Val di Greve e che, proprietaria del castello di Montebuoni e di fondi agricoli in Valdipesa, intratteneva fitti rapporti con l'Oriente.

Il monaco Buondelmonti interessato alla ricerca delle civiltà scomparse e alla geografia, fu probabilmente allievo del poeta e umanista italiano Guarino Veronese tramite il quale, conobbe il mecenate Niccolò Niccoli, studioso di opere classiche e di geografia.

Dal 1414 al 1430 Buondelmonti si recò nei luoghi più importanti della civiltà greca attraversando il mar Egeo e visitando Rodi, Creta, Cipro, l'Ellesponto, Costantinopoli. Il frutto di questi lunghi viaggi furono due opere di contenuto storico-geografico:


- la Descriptio insulae Cretae fatta arrivare a Firenze nel 1417 a Niccolò Niccoli
- e il Liber insularum Archipelagi (1420) con una dedica al cardinale Giordano Orsini. L'opera, riscritta per quattro volte, (l'edizione definitiva è del 1430) ebbe grande diffusione e fu riportata negli isolari illustrati come quelli di Henricus Martellus, di Bartolomeo de li Sonetti e di Benedetto Bordone (1460–1531).
Con queste opere Buondelmonti fondò il nuovo genere letterario degli isolari, un nuovo linguaggio rinascimentale che rappresentava lo spazio fondendo la simbologia delle carte nautiche con la descrizione corografica ed assieme storica dei luoghi visitati.

Nel 1419 Buondelmonti aveva acquistato per conto di Cosimo de' Medici nell'isola di Andros un manoscritto, tradotto in greco da uno sconosciuto Filippo, intitolato Hieroglyphica*, opera di un autore ignoto chiamato Horus-Apollo o Horapollus che affermava di essere egiziano. Nel 1422 il testo arrivò a Firenze e tradotto dal greco destò molto interesse tra i dotti umanisti poiché era l'unico antico trattato riguardante l'interpretazione dei geroglifici egiziani che si credeva nascondessero simbolicamente un'antichissima lingua sapienziale.


*Hieroglyphica (scoperta nel 1419), una 'spiegazione' di quasi 200 segni in chiave simbolico-ermetica, risalente, oggi si pensa, intorno alla fine del sec. IV d.C. L'opera, è alla base della visione caratteristica del periodo rinascimentale intorno alla "scrittura egizia", che in essa vedeva un insieme di simboli con valore ermetico segreto carico di riferimenti, simile ad un rebus e in questo senso risulta autorevole anche se ricca di errate interpretazioni, e forse anche un ulteriore impedimento alla decifrazione della scrittura egizia in senso razionale. Mentre gli studiosi del passato hanno enfatizzato le origini greche dell’opera, ricerche recenti hanno messo in risalto residui di conoscenze genuine ed interpretato il lavoro come un disperato tentativo di un intellettuale egiziano di recuperare un passato ormai sepolto. Comunque gli Hieroglyphica esercitarono una notevole influenza sul simbolismo del Rinascimento, ed in modo particolare sul libro degli emblemi di Andrea Alciato. Non ve ne sono tracce nell'Hypnerotomachia Poliphili (Venezia, Aldo Manuzio, 1499) del frate veneziano Francesco Colonna. e conobbe diverse edizioni, tra le quali una illustrata da Albrecht Dürer. Fu, inoltre, fonte di ispirazione per famosi maestri, tra i quali Bellini, Giorgione, Tiziano e Bosch, come indicato in Alchimia & Mistica di Alexander Roob.


Da Wikipedia: Cristoforo Buondelmonti - Horapollo

Bibliografie
Cristoforo Buondelmonti:
Massimo Donattini, Spazio e modernità: libri, carte, isolari nell'età delle scoperte, Clueb, 2000
R. Weiss, Un umanista antiquario: Cristoforo Buondelmonti in Lettere Italiane vol. 16, 1964
Cristoforo Buondelmonti, Descriptio insule Crete et Liber insularum, cap. XI, traduzione di Marie Anne Van Spitael, Creta, 1981.

Horapollo:
n.n.