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Cimabue - Volta dei quattro Evangelisti

Titolo dell'opera: Volta dei quattro Evangelisti
Autore: Cimabue
Anno di esecuzione: 1277 - 1280
Luogo: Assisi (Basilica Superiore)


La Volta dei quattro Evangelisti è un affresco (circa 900x900 cm) di Cimabue, databile attorno al 1277-1283 circa e conservata nella basilica superiore di San Francesco di Assisi. Si tratta della volta al centro del presbiterio.

La datazione degli affreschi di Cimabue è piuttosto discorde, sebbene negli studi più recenti si sia assestata a un periodo tra il 1277, anno dell'elezione al soglio pontificio di Niccolò III (il cui stemma Orsini si trova nella rappresentazione simbolica di Roma nella vela dell'evangelista Marco), e il 1283 circa.

A differenza delle rovinate scene delle pareti, la volta mantiene nella maggior parte della superficie i rapporti originali tra zone chiare e scure, grazie a un'ossidazione della biacca minore o assente.

Lo spicchio con San Matteo crollò nel terremoto del 26 settembre 1997, ed oggi è stato ripristinato per quanto possibile cercando di recuperare gli elementi superstiti originali.


La volta degli Evangelisti è il nodo dell'intera decorazione della basilica, poiché da ciascun Vangelo si dipana idealmente la rappresentazione delle varie scene del transetto, dell'abside e della navata. Ogni vela è occupata da uno degli evangelisti, rappresentati secondo uno schema fisso, in cui ciascuno è in atto di scrivere, ispirato da un angelo che piove dall'alto. Il loro scranni occupano la metà sinistra di ciascuna vela, mentre quella destra è decorata da una veduta della regione evangelizzata: Matteo, la Giudea (Iudea); Giovanni, l'Asia; Luca, la Grecia (Ipnacchaia, cioè l'Acaia); Marco, l'Italia (Ytalia). Sia gli evangelisti che le regioni geografiche sono identificate da scritte a chiare lettere. Le regioni sono rappresentate da una sintetica rappresentazione architettonica delle loro città principali, rispettivamente Gerusalemme, Efeso, Corinto e Roma. Le città possono essere anche considerate come una notazione spaziale precisa, legata al luogo in cui ciascun Vangelo fu scritto, ed alludono inoltre alla dimensione universale del messaggio cristiano in generale e francescano in particolare.

Lo sfondo delle vele era un tempo oro, oggi in larga parte perduto rendendo visibile la preparazione bianca sottostante.

I modi bizantini delle figure, di grande eleganza ma ormai arrivati al capolinea di uno sterile intellettualismo, sono qui aggiornati alla ricerca di forme più piene, con un evidente mutamento d'indirizzo ispirato alle opere romaniche, all'arte classica e al neoellenismo di alcune correnti bizantine più originali.


I buchi che forano qua e là la superficie furono anticamente usati per appendere lucernari.

San Matteo

Per aderire alla forma triangolare della vela, in questa come nelle altre scene, Cimabue dovette utilizzare delle vertiginose forzature, come l'inclinazione del seggio dell'evangelista verso il suo scrittoio, alla base del quale si trova il tipico simbolo dell'angelo. I rocchetti che si ritrovano in tutti i seggioloni (e anche nei troni delle Madonna cimabuesche) derivano dalla tradizione carolingia, nota oggi attraverso la miniatura. Piacevole è la posa dell'evangelista, con una mano scrivente e l'altra piegata verso il petto con naturalezza, fuoriscente dalla veste con una porzione del braccio per effetto del calare della manica con la gravità.

Un altro angelo, simbolo dell'ispirazione divina, si affaccia poi da un clipeo tra nuvolette al vertice della vela e distende un braccio verso la testa dell'evangelista a simboleggiarne l'ispirazione divina.

Molto curata è la rappresentazione degli strumenti del mestiere sul piano dello scrittorio, così come la presenza dei libri che si intravedono da uno sportello aperto sotto il mobile, in uno scomparto che simula la profondità spaziale. A destra la "Giudea" è rappresentata pure in maniera inclinata, senza un raccordo spaziale con la metà destra. In questa ipotetica Gerusalemme, murata come le altre città della serie con un porta a beneficio del lato dello spettatore, si riconosce un grosso tempio con un corpo a pianta centrale, circondato da una torre e da due loggette simmetriche: si tratta della basilica del Santo Sepolcro. Le varie sfaccettature dell'edificio sono trattate con un'attenzione alla diversa illuminazione, in modo da dare un risalto anche plastico.

San Giovanni

La figura di Giovanni è l'unica ad avere un'importazione diversa dalle altre: il suo scranno è al centro, vicino a un leggio, sotto il quale sta il simbolo dell'aquila. Lo scrittoio si trova invece calato nell'angolo sinistro, su un leggio più piccolo e con alcuni oggetti riposti negli scomparti interni, tra cui alcuni libri e delle ampolle. La diversa organizzazione fu tentata forse per rompere la rigida ripetizione e cercare di raccordare i vari oggetti in una concezione spaziale più coerente.

Davanti all'evangelista si trova una rappresentazione di Efeso come capitale dell'Asia. La città è l'unica con la porta sormontata da un archetto decorato all'orientale (forse un riferimento all'architettura araba) e con un'anta visibile e dischiusa. Vi si riconosce un frontone di un tempio antico, forse un riferimento al tempio di Artemide su cui era stata edificata la casa di Maria.

San Luca

La prospettiva della figura di Luca è particolarmente ardita, con l'evangelista chino sullo scrittorio il cui piano è ribaltato verso lo spettatore e appare vicino al bue accovacciato sul gradino al centro. Il volto di Luca è particolarmente convincente nel momento in cui il pensiero si concentra per effetto dell'ispirazione divina. Fu tra figure che ispirò un passo dell'abate Lanzi: «[Cimabue], fiero come il secolo in cui viveva, riuscì egregiamente nelle teste degli uomini di carattere, e specialmente dei vecchi, imprimendo loro un non so che di forte, e di sublime, che i moderni han potuto portare poco più oltre».

Otto Demus trovò una fonte abbastanza fedele all'evangelista cimabuesco in una miniatura del codice gr. 54 della Bibliothèque Nationale di Parigi (1250-1275 circa).

La rappresentazione di Corinto, con un grande edificio a pianta centrale, simboleggia la Grecia. Mario Salmi lesse nell'edificio una generica citazione delle cuspidi arnolfiane, che decorano il coronamento del deambulatorio. Anche qui, come nella Gerusalemme di san Matteo, gli edifici sono rappresentati con una predilezione per le sfaccettature geometriche illuminate in maniera diversa a seconda dell'angolazione.

San Marco

Marco, con uno schema simile a quello dei suoi colleghi, sta seduto su uno scranno presso uno scrittoio su cui è poggiato il suo Vangelo e, da uno sportello aperto, si intravedono altri oggetti. Vicino si trova rappresentato il leone alato, suo simbolo. L'evangelista è colto mentre guarda la punta della matita appena temperata.

Particolarmente interessante è la rappresentazione di Roma simboleggiante l'Italia, per il ricco numero di monumenti descritti che l'artista aveva probabilmente visto direttamente in occasione del suo soggiorno del 1272. Subito sotto la scritta Ytalia si vede ad esempio il Palazzo Senatorio del Campidoglio, dagli scudi con le scritte SPQR alternati aghli stemmi Orsini di Niccolò III o di un suo parente in carica (se ne contano circa otto in quegli anni). La basilica può essere o l'antica chiesa di San Pietro in Vaticano, o San Giovanni in Laterano, con un Cristo in trono tra la Madonna e san Giovanni sulla facciata, tracciati come una sorta di sinopia. Qualsiasi delle due basiliche papali sia è ininfluente ai fini del messaggio politico, legato all'accostamento col palazzo senatorio, e quindi delle cariche di pontefice e senatore dopo la cacciata di Carlo d'Angiò detenute da Niccolò III, suprema autorità religiosa e governatore di diritto della città. Si vedono poi la mole del Mausoleo di Adriano, edificio regalato dal pontefice al nipote Orso, la torre delle Milizie e il Pantheon. La chiesa porticata in basso a sinistra potrebbe infine essere i Santi Apostoli accanto al palazzo Colonna; altre interpretazioni, legate a quale edificio si intenda nella basilica soprastante, riferiscono questa chiesa anche come San Pietro e il palazzo Apostolico o San Giovanni e il palazzo del Laterano.

C'è un'altra lettura, per certi versi opposta, sulla presenza dello stemma Orsini sul palazzo Senatorio. Non apparendo su altri edifici ribadirebbe la carica di un senatore Orsini e non quella, più rilevante, del papato, e sarebbe da circoscrivere alla situazione romana dopo la morte di Niccolò III, quando gli scontri tra i partito guelfo (Orsini) e quello ghibellino dei sostenitori di Carlo d'Angiò (capeggiato dalla famiglia Annibaldi), che portò alla nomina del neutrale Martino IV nel 1280, il quale scelse prudentemente di risiedere per un po' in Viterbo. La preeminenza della torre delle Milizie, già degli Annibaldi, e la menzione della carica senatoria di Gentile Orsini (nel 1280), filofrancese, potrebbe essere letta come un omaggio a tale fazione.

Decorazioni

La decorazione dei costoloni e delle cornici delle vele è caratterizzata da motivi geometrici ben conservati, racemi, testine che appaiono tra foglie d'acanto, e alla base delle vele angeli telamoni che reggono vasi da cui si dipana la decorazione geometrico-vegetale. In qualche singolo brano (come alcune figure d'angelo) alcuni hanno ipotizzato la mano diretta del maestro, a cui spetta comunque l'ideazione generale.


Bibliografia

Eugenio Battisti, Cimabue, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1963.
Enio Sindona, Cimabue e il momento figurativo pregiottesco, Rizzoli Editore, Milano, 1975. ISBN non esistente

Giotto - San Francesco rinuncia ai beni terreni

Titolo dell'opera: San Francesco rinuncia ai beni terreni
Autore: Giotto
Anno di esecuzione: 1290 -1292 circa
Luogo: Assisi (Basilica Superiore)



Francesco rinuncia ai beni terreni, o più semplicemente Rinuncia ai beni terreni, è la quinta delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (I, 3) di san Francesco: "Quando restituì al padre ogni cosa e, deposte le vesti, rinunciò ai beni paterni e temporali, dicendo: «Di qui in avanti posso dire con certezza: -Padre nostro che sei nei cieli-, poiché Pietro di Bernardone m'ha ripudiato.»"

La scena, che nella realtà si svolse in piazza del Duomo a Foligno, è organizzata secondo uno schema molto efficace di due fasce verticali intervallate dallo sfondo neutro: a sinistra Pietro Bernardone, il padre di Francesco, col volto contratto, dalla notevole espressività, viene trattenuto da un uomo per un braccio; egli ha il pugno chiuso e si solleva la veste come per volersi lanciare contro il figlio, un vero e proprio "gesto parlante"; dietro di lui si dispiegano i cittadini borghesi; dall'altra parte san Francesco spogliato che prega asceticamente verso la mano di Dio benedicente che appare tra le nuvole; il vescovo copre alla meglio la sua nudità e altri religiosi (caratterizzati dalla tonsura) lo seguono. La netta spaccatura della scena è efficacemente simbolica delle posizioni inconciliabili dei due schieramenti, che sono il passato e il presente di Francesco.

Nella casualità quotidiana della folla non è tralasciata nemmeno la raffigurazione di due bambini, quali passanti, che tengono le vesti rialzate, forse per tenere dei sassi da tirare al "pazzo".

Notevolissima è poi la resa anatomica del corpo di Francesco, con chiare lumeggiature che definiscono il volume della muscolatura di sorprendente modernità (si pensi quanto sono lontani i geometrici grafismi dei crocifissi della pittura immediatamente precedente). Particolarmente stringenti sono le affinità, soprattutto nei volti, con le figure dipinte nei registri superiori della basilica dal cosiddetto Maestro di Isacco, forse lo stesso Giotto forse un capobottega leggermente più anziano.

Le scenografie architettoniche sono particolarmente sviluppate in altezza e creano complessi volumi con vuoti e pieni (si guardi per esempio al terrazzo sulla destra sostenuto da una colonna). In questi edifici non sono mantenuti rapporti dimensionali coerenti con le figure presenti, ma sono delle semplici quinte alla scena. Alcune incertezze assonometriche si possono notare nella scaletta esterna sulla sinistra, dove i gradini non sono dritti per permettere l'innaturale visione del pavimento (mentre si vede il soffitto del pianerottolo anche in basso dove è sorretto da due colonne.


Figure e sfondo appaiono efficacemente integrate, con colori chiari e brillanti dalle valenze anche simboliche: l'abito del padre ad esempio è giallo, simbolo di ricchezza mondana.


Bibliografia

Maurizia Tazartes, Giotto, Rizzoli, Milano 2004. ISBN non esistente
Edi Baccheschi, L'opera completa di Giotto, Rizzoli, Milano 1977. ISBN non esistente

Copyright. In questa pagina:


"Giotto - Legend of St Francis - -05- - Renunciation of Wordly Goods" di Giotto - Le informazioni sulla fonte di questo file multimediale sono mancanti.Per favore modifica questa pagina di descrizione del file fornendone la provenienza.. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.

Giotto - Isacco ripudia Esaù

Titolo dell'opera: Isacco ripudia Esaù
Autore: Giotto
Anno di esecuzione: 1291-1295
Luogo: Assisi (Basilica superiore)


Esaù respinto da Isacco è un affresco (300x300 cm) attribuito al Maestro di Isacco (forse il giovane Giotto?), databile al 1291-1295 circa e situato nella fascia superiore della parete destra della Basilica superiore di Assisi.

Le due storie che danno il nome al cosiddetto Maestro di Isacco (Benedizione di Isacco a Giacobbe ed Esaù respinto da Isacco) sono state oggetto di un intenso dibattito tra gli studiosi, nel tentativo di dare un nome all'artista innovativo che, distaccandosi dai modi di Cimabue, andava sviluppando una maggiore volumetria dei soggetti e tridimensionalità della rappresentazione.

Isacco ripudia Esaù (Jacopo Torriti? )
Alcuni, confrontando le scene con quelle vicine di Jacopo Torriti e con i mosaici di Santa Maria in Trastevere di Pietro Cavallini, hanno ipotizzato che potesse trattarsi di un maestro romano, altri, in maggioranza, hanno pensato a un toscano, magari il giovane Giotto (da Thode in poi, 1885). I dubbi sulla paternità giottesca delle sottostanti Storie di san Francesco hanno complicato anche l'identificazione del Maestro di Isacco, arrivando ad ipotizzare che sotto tale figura si celi un maestro leggermente più anziano di Giotto, a capo di una bottega ampia, responsabile di diverse scene del registro superiore della basilica, tra cui anche la volta dei Dottori della Chiesa. Ipotesi più isolate hanno tirato in ballo anche Arnolfo di Cambio, nell'inedita veste di pittore.





Giotto - Presepe di Greccio

Titolo dell'opera: Istituzione del Presepe
Autore: Giotto
Anno di esecuzione: 1295 - 1299
Luogo: Assisi (Basilica Superiore)


Il Presepe di Greccio è la tredicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.


Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (X,7) di san Francesco: "Come il beato Francesco, in memoria del Natale di Cristo, ordinò che si apprestasse il presepe, che si portasse il fieno, che si conducessero il bue e l'asino; e predicò sulla natività del Re povero; e, mentre il santo uomo teneva la sua orazione, un cavaliere scorse il Gesù Bambino in luogo di quello che il santo aveva portato."

Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio (in provincia di Rieti, sulla strada che da Stroncone prosegue verso il reatino), Francesco rievocò la nascita di Gesù, organizzando una rappresentazione vivente di quell'evento. Secondo le agiografie, durante la Messa, sarebbe apparso nella culla un bambino in carne ed ossa, che Francesco prese in braccio. Da questo episodio ebbe origine la tradizione del presepe.
Nonostante le fonti, Giotto pone la scena nel presbiterio che ricorda la Basilica inferiore di Assisi.
Già tra gli affreschi meno leggibili del ciclo, fu restaurato una prima volta nel 1798 dal Fea (resoconto pubblicato nel 1820).


La scena, oltre che una delle più famose, è uno straordinario documento dell'epoca. Nessun pittore si era mai spinto a tanto realismo: lo spettatore osserva dalla parte di solito riservata ai soli sacerdoti e religiosi (da un ipotetico punto di vista nell'abside), dove sono rappresentati con minuzia e vivace descrittività le caratteristiche dell'ambiente oltre il tramezzo che lo separa dalla navata: un ciborio che ricorda quelli di Arnolfo di Cambio, i frati che cantano nel coro guardando al reggilibro in alto, un pulpito visto dal lato dell'ingresso ed una croce lignea sagomata appesa, vista dal dietro, con tutti i rinforzi, e sapientemente raffigurata obliqua mentre pende verso la navata.


Una folla di persone assiste alla scena in primo piano di Francesco con il santo Bambino tra le mani (provvisto pure lui di aureola), ma le donne non possono entrare e osservano dalla porta. Molto reale è la collocazione dei personaggi nello spazio, che appaiono su piani diversi senza dare l'effetto di librarsi nell'aria o di schiacciarsi l'uno sull'altro, come nelle tavole di pittori di poco più antiche. Solo i frati sporgono in alto perché sono in piedi sugli stalli del coro di cui si intuisce la presenza solo da un piccolo dettaglio accanto alla porta. Essi hanno le bocche aperte perché stanno cantando e lo sguardo diretto al badalone (leggio) con un codice che riporta le parole e la musica.





Da Wilipedia: Presepe di Greccio

Bibliografia

Maurizia Tazartes, Giotto, Rizzoli, Milano 2004. ISBN non esistente
Edi Baccheschi, L'opera completa di Giotto, Rizzoli, Milano 1977. ISBN non esistente