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Cappella degli Scrovegni

Titolo dell'opera: Cappella degli Scrovegni (Oratorio)
Autore: Giotto
Anno di esecuzione: XIV Secolo
Luogo: Padova


La cappella degli Scrovegni (detta anche dell'Arena) si trova nel centro storico di Padova e ospita un celeberrimo ciclo di affreschi di Giotto dei primi anni del XIV secolo, considerato uno dei capolavori dell'arte occidentale. Internamente è lunga 29,26 metri, larga 12,80 e alta 8,48 nel punto maggiore

Enrico Scrovegni offre un modellino della Cappella
alla Vergine.
Intitolata a stanga della Carità, la cappella fu fatta costruire e affrescare tra il 1303 e i primi mesi del 1305 da Enrico Scrovegni, ricchissimo banchiere padovano, a beneficio della sua famiglia e dell'intera popolazione cittadina. Lo Scrovegni, nel febbraio del 1300 aveva acquistato da Manfredo Dalesmanini l'intera area dell'antica arena romana di Padova e vi aveva eretto un sontuoso palazzo, di cui la cappella era l'oratorio privato e il futuro mausoleo familiare. Incaricò di affrescare la cappella il fiorentino Giotto, il quale, dopo aver lavorato con i francescani di Assisi e di Rimini, era a Padova chiamato forse dai frati minori conventuali a dipingere qualcosa presso la loro Basilica di Sant'Antonio.

Menzioni antiche trecentesche (Riccobaldo Ferrarese, Francesco da Barberino, 1312-1313) certificano la presenza di Giotto al cantiere, facendone una delle poche opere certe del suo catalogo. Anche la datazione degli affreschi è deducibile con buona approssimazione da una serie di notizie: oltre all'acquisto del terreno, nell'anno 1300, si sa che il vescovo di Padova Ottobuono di Razzi (prima del 1302, data del suo trasferimento al Patriarcato di Aquileia) autorizzò la costruzione della cappella e nel 1303 avvenne la prima fondazione (o almeno la consacrazione del suolo). Il 1º marzo 1304 Benedetto XI concesse l'indulgenza a chi visitasse la cappella e un anno dopo, il 25 marzo 1305, la cappella veniva consacrata. Gli affreschi sono tradizionalmente datati a questa fase finale, tra il 1304 e il 1306, con oscillazioni in studi meno condivisi che arrivano fino al 1308-1310. Un termine ante quem, per quanto parziale, è offerto dal polittico di Giuliano da Rimini a Boston che riprende alcune fogge d'abiti come dipinte da Giotto agli Scrovegni.

Biografie: Andrea Pisano

Andrea Pisano, vero nome Andrea d'Ugolino da Pontedera, (Pontedera, 1290 circa – Orvieto, 1348 o 1349), è stato uno scultore e architetto italiano.

Firenze
Per le sue competenze nell'ambito della lavorazione dei metalli e nella fusione sarebbe quindi stato chiamato a Firenze, dove Vasari gli attribuisce il tabernacolo con San Giovanni e due angeli nel Battistero e alcune delle statue in marmo della facciata della cattedrale di Santa Maria del Fiore: in quel grande e innovativo cantiere di architettura e di scultura Andrea affinò la sua cultura con l'incontro dell'opera di Giotto di cui fu a lungo collaboratore.

Porta del Battistero di San Giovanni

La prima commissione importante fu la porta bronzea per il Battistero di Firenze (1330-1336), per la cui realizzazione sostituì l'orefice Piero di Jacopo, che si era recato già a Pisa a studiare le porte di Bonanno Pisano e a Venezia in cerca di artigiani del bronzo capaci di raddrizzare gli stipiti già fusi con vari difetti.

Andrea Pisano creò le due massicce porte bronzee decorate da 28 pannelli con Storie di San Giovanni Battista e, nella parte bassa, le Virtù. Fu il primo ad usare la cornice mistilinea a quadrilobo, formata da una losanga (un quadrato piegato a 45°) su ciascun lato della quale si apre un semicerchio. Vi dispose varie scene con una tensione tra linee dritte e oblique tipicamente gotica. Tra gli episodi più notevoli è la Sepoltura del corpo del Battista, dove i panneggi sono particolarmente realistici. La porta di Andrea Pisano un tempo si trovava di faccia al Duomo e venne poi spostata sul lato sud quando Lorenzo Ghiberti terminò la Porta del Paradiso. Nella porte si firma "ANDREA UGOLINI NINI DE PISIS"

Rilievi del campanile di Giotto

Nel frattempo era stato ingaggiato a fianco di Giotto per le decorazioni scultoree al Campanile di Santa Maria del Fiore, del quale divenne sovrintendente dopo la morte del maestro (1337) e fino al 1348. Scolpì numerosi rilievi per il basamento, forse ispirati dallo stesso Giotto, che mostrano una ricerca spaziale tipicamente giottesca. Il ciclo aggiornò il repertorio enciclopedico di epoca gotica alla realtà fiorentina, con formelle dedicate alle attività economiche della città.

I temi scolpiti sono il Peccato originale, le Virtù, le Arti liberali, i Pianeti, i Sacramenti e per la prima volta le Arti meccaniche, dove sono raffigurate scene di lavoro legate alle arti di Firenze, prima fra tutte l'Arte della Lana (con il rilievo della Tessitura) finanziatrice del progetto. Tra queste arti Andrea collocò anche Pittura, Scultura e Architettura, a testimoniare il riconoscimento sociale raggiunto anche dalle attività artistiche.

Per l'interno del Battistero eseguì anche piccole sculture marmoree (Cristo e Santa Reparata), mentre per il campanile eseguì i rilievi a tutto tondo con i re David e Salomone, i Profeti e le Sibille. Le formelle romboidali con le Virtù e le arti e la lunetta con la madonna col Bambino conservano anche la decorazione a smalti azzurri del fondo.

Pisa

Dopo la morte di Giotto proseguì da solo nella conduzione del cantiere del campanile da cui si narra sia stat allontanato" per un lavorio che mosse vano". Andrea tornò a Pisa dove esegui, con il suo atelier in cui come a Firenze erano attivi i figli Nino e Tommaso, il monumento funebre per l'Arcivescovo Simone Saltarelli nella Chiesa di Santa Caterina e, un'imponente struttura a edicola sviluppata su vari livelli (oggi quattro per i danni di un incendio seicentesco) (Madonna con Bambino e Angeli, Santi e Angeli in gloria, l'Arcivescovo giacente e angeli reggicortina, Storie della vita dell'Arcivescovo) dalle forme gotiche, in marmo con polcromie e dorature. e a Pisa, anche secondo Lorenzo Ghiberti, avviò anche un'intensa campagna di lavori nel piccolo oratorio di Santa Maria della Spina. La bottega di Andrea Pisano, situata probabilmente nei pressi dell'antica chiesa di San Lorenzo alla Rivolta (dove ora sorge la fontana nell'ottocentesca Piazza Martiri della Libertà) fu molto attiva nella repubblica marinara, dove eseguì la lunetta di San Martino e il Povero per la Chiesa di San Martino di cui forse elaborò anche il progetto architettonico di ampliamento nelle forme esterne attuali; alla prima fase dopo il suo ritorno a Pisa risale anche la grande Madonna con Bambino della facciata della Cattedrale, una monumentale statua di oltre due metri e mezzo, incredibilmente rifinita e curata nelle pieghe di panneggio e nelle espressioni, pur essendo concepita per essere osservata da una distanza di 50 metri.

Monumento Arcivescovo Santarelli


Santa Maria della Spina (Pisa)

Madonna della rosa
Per la chiesa di Santa Maria della Spina eseguì insieme al figlio Nino alcuni lavori di consolidamento e di abbellimento, edificando le tre guglie sopra l'altare maggiore, ma soprattutto le quattro statue presenti all'interno del piccolo oratorio: la Madonna della Rosa, San Pietro, San Giovanni Battista e la famosa Madonna del Latte, capolavori in marmo un tempo policromate in varie parti e dorate, tra i maggiori dell'arte trecentesca europea. Con queste statue, in cui collabora forse pariteticamente col figlio Nino, Andrea anticipa di cinquant'anni l'Umanesimo, riuscendo perfettamente a trovare un originale equilibrio tra l'arte classica, rinnovata a Pisa grazie al maestro Nicola Pisano, e la finissima arte gotico-francese, magistralmente rielaborata da Giovanni Pisano circa quarant'anni prima.










Orvieto
Nel 1347 Andrea venne nominato capomastro del Duomo di Orvieto, anche se non sappiamo esattamente se lasciò Pisa per stabilirsi definitivamente nella città umbra. Con tuttà probabilità la sua bottega rimase a Pisa, dalla quale si fece spedire dei blocchi di marmo semilavorati per farne una Maestà per ricavarne i due Angeli, ora nel Museo dell'Opera del Duomo, ma destinati alla lunetta sovrastante il portale maggiore della Cattedrale. In questa città trovò forse la morte per l'ondata di peste che dilagò in Italia. Già nel 1349 la carica di capomastro passava al figlio Nino e di Andrea non si hanno più notizie. Probabilmente fu portato a Firenze l'anno successivo e lì viene seppellito, all'interno della Cattedrale di Santa Maria del Fiore.

Bibliografia
G.Vasari, Vite. Edizione Giuntina, 1568. Milano, 1942
Ilaria Toesca, Andrea e Nino Pisani, Firenze, Sansoni, 1950.
M. Burresi,"Andrea, Nino e Tommaso scultori pisani,in "Pisa 1983", catalogo della mostra "Andrea, Nino e Tommaso scultori pisani", a cura di M. Burresi, Milano, Electa, 1983, con appendice documentaria a cura di M.Cataldi e M.Ratti
Gert Kreytenberg, Andrea Pisano und die toskanische Skulptur des 14. Jahrhunderts, München, Bruckmann, 1984.
Anita Fiderer Moskowitz, The sculpture of Andrea and Nino Pisano, Cambridge, Cambridge University Press, 1986.
L. Ghiberti, Commentari. Ed. Giunti. Firenze, 1998, p. 90.
M. Burresi. La bottega di Andrea e Nino Pisani: assonanze autografie e persistenze, in "Lucca 1995", catalogo della mostra "Scultura lignea a Lucca 1200-1425", a cura di C. Baracchini, Firenze 1995
Enrico Castelnuovo, Andrea Pisano scultore in legno, in Sacre passioni. Scultura lignea a Pisa dal XII al XV secolo, catalogo della mostra (Pisa, 2000-2001) a cura di M. Burresi, Milano, Motta, 2000, pp.152-163.
Alessandro Bargagna, Andrea e Nino Pisano nella letteratura storico-artistica anglofona: fortuna critica delle opere pisane a confronto. Martin Weinberger 1937 – Anita Moskowitz 1986: The Sculpture of Andrea and Nino Pisano, Tesi di Laurea in Lingue Europee e Storia delle Arti visive e dello spettacolo. Università di Pisa, 2008
M. Burresi, "Andreas Ugolini Nini de Pisis e la memoria dell'arte classica", in Rimini 2008 catalogo della mostra" Exempla. La rinascita dell'antico nell'arte italiana. da federico II ad Andrea Pisano, a cura diM. Bona Castellotti e Antonio Giuliano, Pisa Pacini editore 2008
Jonath Del Corso, Andrea, Nino e Tommaso Pisano attraverso i documenti degli archivi pisani, in Bollettino, pubblicazione periodica anno 2008, Pontedera 2008.
Jonath Del Corso, Andrea da Pontedera e l'oreficeria pisana dal XIV secolo alla conquista fiorentina, in Bollettino, pubblicazione periodica anno 2009, Pontedera 2009.
Jonath Del Corso, Il Monumento funebre del Doge dell'Agnello: un'opera dispersa della bottega dei Pisano, in Bollettino, pubblicazione periodica anno 2010, Pontedera 2010.

Da Wikipedia: Andrea Pisano

Battistero: San Giovanni (Firenze)

Titolo dell'opera: Battistero di San Giovanni
Autore: n.n.
Anno di esecuzione: XI Secolo
Luogo: Firenze


Il battistero dedicato a san Giovanni Battista, patrono della città di Firenze, sorge di fronte al duomo di Santa Maria del Fiore, in piazza San Giovanni.

Inizialmente era collocato all'esterno della cerchia delle mura, ma fu compreso, insieme al duomo, nelle mura realizzate da Matilde di Canossa ("quarta cerchia"). In origine era circondato da altri edifici, come il palazzo Arcivescovile che arrivava molto più vicino, i quali vennero abbattuti per creare l'attuale piazza.

Il battistero si trova fra piazza del Duomo e piazza San Giovanni, fra il duomo e l'arcivescovado, nel centro religioso della città. La facciata principale dell'edificio ottagonale è rivolta verso il duomo, mentre l'abside si trova verso ovest.

Origini del complesso
Le origini del monumento fiorentino costituiscono uno dei temi più oscuri e discussi di tutta la storia dell'arte. Fino al cinquecento si seguiva l'antica tradizione fiorentina secondo cui esso sarebbe stato in origine un tempio di Marte, modificato nel medioevo solo nell'abside e nella lanterna. Nei secoli seguenti invece questa idea fu gradualmente abbandonata, anche perché alla fine dell'ottocento scavando sotto di esso apparvero i resti di domus romane, probabilmente del I secolo d.C., con pavimenti a mosaico a motivi geometrici. Si ritenne quindi che ciò dimostrasse l'origine medievale del monumento, e su questo presupposto si basano la maggior parte delle teorie attuali,che ipotizzano una data di fondazione intorno al IV-V secolo d.C, oppure intorno al mille, forse con rimaneggiamenti avvenuti tra il VII secolo durante la dominazione longobarda e l'XI, quando il Battistero fu consacrato da papa Niccolò II il 6 novembre 1059. Queste spiegazioni restano però ancora discusse, e va anche detto che negli ultimi anni è stata avanzata l'ipotesi che le tradizioni fiorentine avessero sostanzialmente ragione, e che l'edificio sia stato eretto in ricordo della vittoria di Stilicone su Radagaiso, avvenuta a Firenze nel 406, e poi trasformato in chiesa. Del fatto di guerra sarebbe rimasto il ricordo nel nome popolare di "Tempio di Marte". In questo caso i reperti romani degli scavi andrebbero spiegati non come resti di devastazioni barbariche ma come demolizioni eseguite proprio per costruire l'edificio.

La prima citazione del Battistero risale all'anno 897, quando l'inviato dell'imperatore rende giustizia sotto il portico "davanti alla chiesa di San Giovanni Battista": quindi il termine "chiesa" fa capire che a quella data l'edificio era officiato, anche se non si sa se avesse già le funzioni di battistero. Comunque sia, il papa fiorentino Niccolò II lo consacrò il 6 novembre 1059, probabilmente dopo vari lavori di restauro.

Nel 1128 l'edificio diventò ufficialmente battistero cittadino e intorno alla metà dello stesso secolo venne eseguito un rivestimento esterno in marmo, successivamente completato anche all'interno; il pavimento, sempre in tarsie marmoree, viene realizzato nel 1209.
Secondo alcuni la cupola sarebbe stata realizzata nella seconda metà del XIII secolo, ma di ciò non esiste nessun documento, e tecnicamente l'ipotesi è assai discussa.

I mosaici della scarsella risalgono verso il 1220 e successivamente fu eseguito il complesso mosaico della cupola a spicchi ottagonali, al quale si lavora tra il 1270 e il 1300, con l'intervento di frate Jacopo e la partecipazione di Coppo di Marcovaldo e di Cimabue.

Tra il 1330 e il 1336 viene eseguita la prima delle tre porte bronzee, con l'utilizzo di 24 formelle, commissionata ad Andrea Pisano dall'Arte di Calimala, l'arte più antica dalla quale discendono tutte le altre, sotto la cui tutela era il battistero: essa era di fatto in competizione con l'Arte della Lana che patronava invece il vicino duomo. La porta, forse inizialmente collocata sul lato est, il più importante, di fronte al Duomo, fu spostata sul lato sud per collocare al posto d'onore la seconda porta: tale notizia, riportata dal Vasari e ripresa un po' da tutte le fonti fino ad oggi, è stata messa recentemente in dubbio per discrepanze nelle misure tra le due aperture. Verso il 1320 inoltre Tino di Camaino aveva scolpito tre gruppi scultorei entro nicchie per decorare la parte sopra i portali di ciascun ingresso: consumate dalle intemperie vennero poi gradualmente sostituite dalla fine del Quattrocento in poi: la maggior parte dei frammenti è oggi nel Museo dell'Opera del Duomo.

Quest'ultima, tra il 1401 e il 1424, venne realizzata da Lorenzo Ghiberti, vincitore di un concorso a cui parteciparono anche Filippo Brunelleschi, Jacopo della Quercia, Simone da Colle Val d'Elsa, Niccolò di Luca Spinelli, Francesco di Valdambrino e Niccolò di Pietro Lamberti. Inizialmente collocata sul lato orientale, fu a sua volta poi spostata sul lato nord. Nel corso del restauro iniziato nel 2013 si è scoperto, pulendo le formelle, che le figure dei bassorilievi sono dorate, tramite doratura ad amalgama di mercurio su base bronzea.

La terza porta, con formelle interamente rivestite d'oro, eseguita sempre dal Ghiberti tra il 1425 e il 1452 e chiamata da Michelangelo "Porta del Paradiso", tuttora occupa il lato orientale. Per la realizzazione delle due porte, il Ghiberti creò una vera e propria bottega di bronzisti, nella quale si formarono artisti come Donatello, Michelozzo, Masolino e Paolo Uccello.

Nel 1576, in occasione del battesimo dell'atteso erede maschio del granduca Francesco I de' Medici, Bernardo Buontalenti ricostruì il fonte battesimale, distruggendo i battezzatoi medievali ricordati da Dante Alighieri (Inf. XIX vv. 16-20), nonché il coro che era nell'abside.

Il battistero fiorentino era luogo di investitura di cavalieri e poeti, come ricorda Dante Alighieri nel Paradiso (XXV, 7-9): "con altra voce omai, con altro vello / ritornerò poeta, e in sul fonte / del mio battesmo prenderò 'l cappello". Era sede deputata per solenni giuramenti, nonché per la celebrazione in onore del patrono cittadino con il dono delle stoffe pregiate (i palii) da parte dei magistrati del Comune nella ricorrenza del Battista (24 giugno).

Esterno

Ha pianta ottagonale, con un diametro di 25,60 m, quasi la metà di quello della cupola del Duomo. L'ottagono è già figura tipica dei battisteri, soprattutto medievali e di ispirazione bizantina, di cui l'ipotesi più probabile è quella di ricordare l'"ottavo giorno" della settimana, che nel Nuovo Testamento del Cristianesimo è simbolo di Resurrezione ed Eternità.
La necessità di un edificio di vaste dimensioni si spiega con l'esigenza di accogliere la folla che riceveva il battesimo solo in due date prestabilite all'anno. Anticamente era sopraelevato di alcuni gradini, scomparsi con l'innalzamento graduale del piano del calpestio, che Leonardo da Vinci aveva pensato di ricreare studiando un modo per sollevare in blocco l'edificio e ricreare una nuova piattaforma.

L'edificio è coperto da una cupola ad otto spicchi, mascherata all'esterno dall'attico e coperta da un tetto a piramide schiacciata. Sul lato opposto all'ingresso sporge il corpo dell'abside rettangolare (scarsella).

L'ornamento esterno, in marmo bianco di Carrara e verde di Prato, è scandito da tre fasce orizzontali, ornate da riquadri geometrici, quella mediana occupata da tre archi per lato, nei quali sono inserite superiormente finestre con timpani. Il pilastri in marmo verde del registro inferiore corrispondono colonne poligonali in strisce bianche e nere in quello superiore, reggenti gli archi a tutto sesto. I pilastri angolari, originariamente in pietra serena, furono poi rivestiti pure di marmo. Si tratta di uno spartito di gusto classico, usato già in altri monumenti romanici come la facciata di San Miniato al Monte, che testimonia il perdurare a Firenze della tradizione architettonica della Roma antica.

Nonostante il battistero sia considerato la matrice del “Romanico fiorentino”, alcune caratteristiche della sua architettura non hanno riscontro altrove. La disposizione di colonne e capitelli – differenziati per tipologia e per colore del marmo – non è né uniforme né casuale, ma come nella architetture della Tarda antichità è finalizzata a indicare precise gerarchie spaziali. All’interno l’asse principale est-ovest è indicato dal contrapporsi dell’arcone e della coppia di colonne con capitelli compositi ai lati della Porta del Paradiso (in tutti gli altri casi abbiamo invece capitelli corinzi, eccetto uno probabile frutto di restauro); un secondo asse di simmetria obliquo sudest-nordovest è invece indicato dai fiori dell’abaco dei capitelli corinzi di pilastro, che sono di tre tipi differenti. All’esterno le finestre a edicola si differenziano per forma, tipo di capitelli e colonne, e colore dei marmi impiegati, secondo un ordinamento molto complesso che distingue i lati obliqui da quelli volti ai punti cardinali e tra questi il lato est, con l'ingresso principale, differenziato in tutto dagli altri. La disposizione simmetrica di differenti tipi di capitelli si riscontra anche nei tre lati volti a sud dell’attico, verosimilmente eseguiti per primi perché rivolti alla città.

Le tre porte bronzee, realizzate secondo un programma figurativo unitario nell'arco di più di un secolo, mostrano la storia dell'umanità e della Redenzione, come in una gigantesca Bibbia figurata. L'ordine narrativo, sconvolto dal cambiamento di posizione delle singole porte, va dalle Storie dell'Antico Testamento nella porta est, a quelle del Battista nella porta sud, fino a quelle del Nuovo Testamento (Storie di Cristo) nella porta nord


L'interno è a pianta ottagonale, con un diametro di 25,6 metri. La decorazione interna è ispirata agli edifici romani, come il Pantheon, con un ampio uso di specchiature marmoree policrome. È suddivisa, come all'esterno, in tre fasce orizzontali, la più alta però coperta dalla cupola, mentre la fascia mediana è occupata dai matronei. Inferiormente le pareti sono suddivise verticalmente in tre zone per mezzo di lesene e di colonne monolitiche in granito e in marmo cipollino di spoglio (come gran parte dei marmi del rivestimento), con capitelli dorati che reggono l'architrave. Le pareti, tripartite da colonne e raccordate agli angoli da doppi pilastri scanalati in marmo, presentano un rivestimento marmoreo a due colori alternati in fasce e altre forme, bianco di Carrara e verde di Prato. Sopra le bifore si trovano tarsie geometriche, databili a prima del 1113, a giudicare dall'iscrizione sul sarcofago del vescovo Ranieri.

La fonte battesimale in origine occupava il centro del pavimento, dove si trova un ottagono in cocciopesto. Il pavimento presenta tarsie marmoree di grande pregio, di gusto orientalizzante, con motivi geometrici, fitomorfi e zoomorfi spesso legati ad animali di fantasia, ispirati ai tessuti provenienti dal Mediterraneo meridionale e orientale. Essi furono realizzati in tutta probabilità dalle stesse maestranze che lavorarono anche, fino al 1207, in San Miniato al Monte. Dal 1048, su iniziativa di Strozzo Strozzi, esisteva nel battistero un orologio solare: attraverso un foro praticato nella cupola, i raggi solari colpivano nel corso dell'anno i segni dello zodiaco su una lastra di marmo collocata presso la porta nord, il riquadro zodiacale che oggi è in corrispondenza della porta est, in seguito al rifacimento del XIII secolo. Sulla lastra è riportato il verso palindromo "en giro torte sol ciclos et rotor igne".

Un'altra caratteristica del battistero che non ha riscontri nell’architettura romanico-gotica è la relazione architettonica tra le facciate, che – sia all’interno che all’esterno – non sono raccordate da nodi strutturali (gli attuali pilastri bicolori esterni sono un rifacimento: in origine erano in arenaria e separavano le facciate contigue incrostate di marmi), ma sono invece intese come unità bidimensionali indipendenti e solo accostate – all’interno addirittura separate da un vuoto angolare – in modo da esaltare l’architettura del battistero come puro solido geometrico.

Dante cita il battistero nella sua Divina Commedia: nel XIX canto dell'Inferno:

Non mi parean [i fori] men ampi né maggiori /che que' che son nel mio bel San Giovanni, /fatti per loco de' battezzatori (versi 16-18). Egli inoltre dice che una volta, per salvare un ragazzo che rischiava di affogare, fu costretto a rovesciare una delle pozze dove si battezzavano i fanciulli, rompendone il bordo. Questa frattura, secondo i cronisti fiorentini, era ancora visibile quando le fonti battesimali vennero distrutte nel 1576.
L'altare è neoromanico e venne creato da Giuseppe Castellucci ai primi del Novecento recuperando frammenti originali e sostituendo il precedente altarone barocco di Girolamo Ticciati (1732, oggi nei depositi del Museo dell'Opera del Duomo). Davanti all'altare una grata lascia intravedere i sotterranei, in cui si trovano gli scavi della domus romana con pavimenti a mosaici geometrici, venuta alla luce durante gli scavi del 1912-1915.

Mosaici


Il rivestimento a mosaico della cupola fu impresa difficile e dispendiosa; i lavori iniziarono forse intorno al 1270 e si conclusero agli inizi del secolo successivo.

Presenta otto spicchi ed è rivestita da mosaico su fondo dorato. Su una fascia superiore sono raffigurate le gerarchie angeliche (2 nello schema) Su tre degli spicchi (1 nello schema) è raffigurato il Giudizio Universale, dominato dalla grande figura del Cristo: sotto i suoi piedi avviene la resurrezione dei morti, alla sua destra i giusti sono accolti in cielo dai patriarchi biblici, mentre alla sua sinistra si trova l'inferno con i suoi diavoli.

Gli altri cinque spicchi sono suddivisi in altri quattro registri orizzontali, dove sono raffigurate a partire dall'alto: storie della Genesi (3), storie di Giuseppe (4), storie di Maria e di Cristo (5) e storie di San Giovanni Battista (6).

Furono impiegate, secondo alcuni, maestranze veneziane, coadiuvate sicuramente da importanti artisti locali che fornirono i cartoni, come Coppo di Marcovaldo, autore dell'Inferno, Meliore per alcune parti del Paradiso, il Maestro della Maddalena e Cimabue, cui sono attribuite le prime storie del Battista.

Altre opere

All'interno si trovano due sarcofagi romani: uno detto "della fioraia", da un soggetto del bassorilievo, dove venne sepolto il vescovo Giovanni da Velletri, e uno con scena di caccia al cinghiale, con un coperchio cinquecentesco con stemma Medici aggiunto quando venne reimpiegato come sepoltura di Guccio de' Medici, gonfaloniere di Giustizia nel 1299. Tra questi sarcofagi si trova un statua del Battista di Giuseppe Piamontini (1688 circa) donata da Cosimo III de' Medici. Sulla parete destra dell'abside si conserva il monumento funebre del vescovo Ranieri, costituito da un sarcofago con un'iscrizione del 1113 in esametri leonini.

A destra dell'abside il monumento funebre dedicato a Baldassarre Cossa, l'antipapa Giovanni XXIII, morto a Firenze nel 1419, eseguito da Donatello e Michelozzo tra il 1422 e il 1428. L'angelo reggicandela a destra dell'altare, posto su una colonnina con base leonina, è di Agostino di Jacopo e risale al 1320. Il candelabro per il cero pasquale è pure attribuito allo stesso autore. Ai lati delle porte tre coppie di acquasantiere su colonne tortili. Il fonte battesimale, fatto principalmente di un unico blocco marmoreo, è attribuito a un seguace di Andrea Pisano (1371) e mostra sei bassorilievi con Scene di battesimo.

Vi era esposta anche la Maddalena penitente, scolpita da Donatello in legno. Danneggiata nell'alluvione del 1966 l'opera è attualmente esposta nel Museo dell'Opera del Duomo. Perduto è invece l'affresco con San Giovanni al di sopra della porta sud, opera del 1453 di Alesso Baldovinetti. Per il battistero erano stati realizzati inoltre l'altare argenteo e il Parato di San Giovanni (su disegno di Antonio del Pollaiolo), tutte opere al museo dell'Opera.

Da Wikipedia: Battistero San Giovanni


Bibliografia

  • Piero Degl'Innocenti: Le origini del bel San Giovanni. Da tempio di Marte a battistero di Firenze, Edizioni Cusl, Firenze 1994. ISBN 88-8021-037-8; ristampa: Libreria Alfani Ed., Firenze 2014, ISBN 978-88-88288-26-0
  • Rolf C. Wirtz: Florenz. Könnemann, Köln 1999. ISBN 3-8290-2659-5
  • Gerhard Straehle: Die Marstempelthese - Dante, Villani, Boccaccio, Vasari, Borghini. Die Geschichte vom Ursprung der Florentiner Taufkirche in der Literatur des 13. bis 20. Jahrhunderts, Gerhard Straehle, München 2001. ISBN 3-936275-00-9
  • Giuseppe Marchini Langewiesche: Baptisterium, Dom und Dommuseum in Florenz, K.R. Langewiesche, Königstein im Taunus 1980. ISBN 3-7845-6130-6
  • Annamaria Giusti: Das Baptisterium San Giovanni in Florenz, Mandragora, Florenz 2000. ISBN 88-85957-57-9
  • Carlo Montrésor: Das Museum der Opera del Duomo von Florenz, Schnell & Steiner, Regensburg/Florenz 2000, 2003. ISBN 3-7954-1615-9
  • Alberto Busignani – Raffaello Bencini: Le chiese di Firenze. Il Battistero di San Giovanni, Firenze 1988.
  • AA.VV., a cura di Domenico Cardini: Il Bel San Giovanni e Santa Maria del Fiore. Il Centro religioso di Firenze dal Tardo Antico al Rinascimento, Firenze 1996. ISBN 88-7166-282-2
  • Guglielmo De Angelis D’Ossat: “Il Battistero di Firenze: la decorazione tardo romana e le modificazioni successive”, IX Corso di cultura sull’arte ravennate e bizantina, Ravenna 1962.
  • AA.VV., Guida d'Italia, Firenze e provincia "Guida Rossa", Touring Club Italiano, Milano 2007.
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Giotto - San Francesco rinuncia ai beni terreni

Titolo dell'opera: San Francesco rinuncia ai beni terreni
Autore: Giotto
Anno di esecuzione: 1290 -1292 circa
Luogo: Assisi (Basilica Superiore)



Francesco rinuncia ai beni terreni, o più semplicemente Rinuncia ai beni terreni, è la quinta delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (I, 3) di san Francesco: "Quando restituì al padre ogni cosa e, deposte le vesti, rinunciò ai beni paterni e temporali, dicendo: «Di qui in avanti posso dire con certezza: -Padre nostro che sei nei cieli-, poiché Pietro di Bernardone m'ha ripudiato.»"

La scena, che nella realtà si svolse in piazza del Duomo a Foligno, è organizzata secondo uno schema molto efficace di due fasce verticali intervallate dallo sfondo neutro: a sinistra Pietro Bernardone, il padre di Francesco, col volto contratto, dalla notevole espressività, viene trattenuto da un uomo per un braccio; egli ha il pugno chiuso e si solleva la veste come per volersi lanciare contro il figlio, un vero e proprio "gesto parlante"; dietro di lui si dispiegano i cittadini borghesi; dall'altra parte san Francesco spogliato che prega asceticamente verso la mano di Dio benedicente che appare tra le nuvole; il vescovo copre alla meglio la sua nudità e altri religiosi (caratterizzati dalla tonsura) lo seguono. La netta spaccatura della scena è efficacemente simbolica delle posizioni inconciliabili dei due schieramenti, che sono il passato e il presente di Francesco.

Nella casualità quotidiana della folla non è tralasciata nemmeno la raffigurazione di due bambini, quali passanti, che tengono le vesti rialzate, forse per tenere dei sassi da tirare al "pazzo".

Notevolissima è poi la resa anatomica del corpo di Francesco, con chiare lumeggiature che definiscono il volume della muscolatura di sorprendente modernità (si pensi quanto sono lontani i geometrici grafismi dei crocifissi della pittura immediatamente precedente). Particolarmente stringenti sono le affinità, soprattutto nei volti, con le figure dipinte nei registri superiori della basilica dal cosiddetto Maestro di Isacco, forse lo stesso Giotto forse un capobottega leggermente più anziano.

Le scenografie architettoniche sono particolarmente sviluppate in altezza e creano complessi volumi con vuoti e pieni (si guardi per esempio al terrazzo sulla destra sostenuto da una colonna). In questi edifici non sono mantenuti rapporti dimensionali coerenti con le figure presenti, ma sono delle semplici quinte alla scena. Alcune incertezze assonometriche si possono notare nella scaletta esterna sulla sinistra, dove i gradini non sono dritti per permettere l'innaturale visione del pavimento (mentre si vede il soffitto del pianerottolo anche in basso dove è sorretto da due colonne.


Figure e sfondo appaiono efficacemente integrate, con colori chiari e brillanti dalle valenze anche simboliche: l'abito del padre ad esempio è giallo, simbolo di ricchezza mondana.


Bibliografia

Maurizia Tazartes, Giotto, Rizzoli, Milano 2004. ISBN non esistente
Edi Baccheschi, L'opera completa di Giotto, Rizzoli, Milano 1977. ISBN non esistente

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Giotto - Compianto sul Cristo morto

Titolo dell'opera: Compianto sul Cristo morto
Autore: Giotto
Anno di esecuzione: 1303 - 1305
Luogo: Padova (Oratorio degli Scrovegni)


Il Compianto sul Cristo morto è un affresco (200x185 cm) di Giotto, databile al 1303-1305 circa e facente parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova. È compreso nelle Storie della Passione di Gesù del registro centrale inferiore, nella parete sinistra guardando verso l'altare.

La scena, la più drammatica dell'intero ciclo e una delle più celebri, mostra una spiccata conoscenza delle regole della pittura fin dalla composizione. Gesù è adagiato in basso a sinistra, stretto dalla madre che, in maniera toccante, avvicina il proprio viso a quello del figlio. Tutta una serie di linee di sguardi e di forza dirigono immediatamente l'attenzione dello spettatore su questo angolo, a partire dall'andamento della roccia dello sfondo che degrada verso il basso. Le pie donne reggono le mani di Cristo e la Maddalena gemente ne raccoglie i piedi. Sciolta e naturalistica è la posa di san Giovanni, che si piega distendendo le braccia indietro, derivata forse dal Sarcofago di Melagro che era a Padova. Dietro a destra stanno le figure di Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea, mentre a sinistra, in basso, una figura seduta di spalle crea una massa scultorea. A sinistra accorrono altre donne in lacrime, dalle pose studiate e drammatiche. In alto gli angeli accorrono con altre pose di disperazione, scorciati con grande varietà di pose, partecipando a una sorta di drammaticità cosmica che investe anche la natura: l'alberello in alto a destra è infatti secco.

L'unico addolcimento è dato dal concerto di colori pastello, estremamente raffinato, che orchestra i toni delle vesti, con una diversa incidenza luminosa che arriva, negli esempi più eclatanti, ad effetti di cangiantismo cromatico: tali finezze testimoniano come questa scena, pressoché al centro della parete, fosse una delle più curate del ciclo, sicuramente autografa e realizzata in modo da catturare l'attenzione del pubblico.

Liberata dalle rigidità bizantine, la scena fu presa a modello per intere generazioni di artisti successivi.

Una Deposizione era stata già dipinta forse dal giovane Giotto nella basilica superiore di Assisi.

Da Wilipedia: Compianto sul Cristo morto
Bibliografia

Maurizia Tazartes, Giotto, Rizzoli, Milano 2004. ISBN non esistente
Edi Baccheschi, L'opera completa di Giotto, Rizzoli, Milano 1977. ISBN non esistente

Duccio - Maestà Rucellai

Titolo dell'opera: Maestà Rucellai
Autore: Duccio di Buoninsegna
Anno di esecuzione: 1285
Luogo: Firenze (Galleria degli Uffizi)


La tavola è la più grande che ci sia pervenuta riguardo al Duecento e venne dipinta dal pittore senese, allora giovane e in patria straniera (Firenze e Siena erano due repubbliche diverse).

L'opera si ispira alla Maestà del Louvre di Cimabue, dipinta circa cinque anni prima, con la stessa disposizione del trono in tralice, la stessa inclinazione dei volti, i medesimi gesti della madre col figlio, la stessa impostazione della cornice. Il tema però è qui rappresentato con una nuova sensibilità, più "gotica", carico di ancora maggiore dolcezza nei volti e nella dolente umanità che supera i rigidi schematismi bizantini, facendo eco all'importanza tributata nel Duecento ai culti mariani.

La Madonna Rucellai di Duccio è più aristocratica e raffinata. I volti di tutti i personaggi, sebbene ancora enigmatici, sono più dolci e gentili, secondo un distacco dall'opera di Cimabue che non era ancora evidente nell'antica Madonna Gualino di Duccio (1280-1283), divenendo percettibile nella Madonna di Crevole (1283-1284) e che in questa opera del 1285 diventa più evidente: la Vergine sembra quasi abbozzare un sorriso. Ciò dà all'immagine un senso di maggiore aristocraticità, innestata sulla solida maestosità e l'umana rappresentazione di Cimabue.



Con tutta probabilità Duccio ebbe come ispirazione anche gli oggetti quali smalti, miniature e avori provenienti dalla Francia, di sapore innovativamente gotico. Sono molti infatti gli elementi di stile gotico presenti nell'opera: mancano le lumeggiature dorate dell'agemina, sostituite da delicate modulazioni di colore e pieghettature spesso cadenti che danno sostanza alle figure. Inoltre Duccio vi immise un nervoso ritmo lineare, come sottolineato dal capriccioso orlo dorato della veste di Maria, che disegna una complessa linea arabescata che va dal petto fino ai piedi, in opposizione alle rigide e astratte pieghe a zig zag della pittura bizantina. La gamma cromatica è ricca e varia, come già andava conquistando la scuola senese, e conta colori che si esaltano a vicenda come il rosa smalto, il rosso vinato e il blu chiaro. Le aureole della Madonna e del Bambino sono decorate da raffinati motivi che creano un'aura di impalpabile trasparenza. 



I sei angeli che circondano la Madonna sono perfettamente simmetrici (forse dipinti tramite sagome cartonate, i cosiddetti "patroni") e stanno irrealisticamente inginocchiati uno sopra l'altro ai lati del trono, senza una minima sensazione di piani in profondità, come in Cimabue. Del resto anche nel trono sono più curati i decori preziosi, con bifore e trifore gotiche e con il sontuoso drappo di seta sullo schienale.

La cornice modanata ha un ruolo fondamentale nella composizione, ribadito dal recente restauro. Essa è in parte d'oro e in parte dipinta, con una fascia interrotta da clipei con busti di profeti biblici e santi domenicani, tra i quali il fondatore dei Laudesi san Pietro Martire. Queste figure, pur nelle dimensioni ridotte, presentano una notevole distinzione nelle singole fisionomie.

Da Wikipedia: Madonna Ruccelai



Bibliografia

Enzo Carli, Duccio, Milano 1952
Enio Sindona, Cimabue e il momento figurativo pregiottesco, Rizzoli Editore, Milano, 1975. ISBN non esistente
Luciano Bellosi, voce Duccio in Enciclopedia dell'Arte Medioevale vol. V, Roma 1994
Luciano Bellosi, Duccio. La Maestà, Milano 1998
Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 1, Bompiani, Milano 1999.
Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini, Luciano Bellosi, Michel Laclotte, Duccio. Alle origini della pittura senese, Catalogo della mostra, Silvana Editore, Milano 2003.
AA. VV., Galleria degli Uffizi, collana I Grandi Musei del Mondo, Roma 2003.
Gloria Fossi, Uffizi, Giunti, Firenze 2004, pag. 112. ISBN 88-09-03675-1

Cimabue - Maestà del Louvre

Titolo dell'opera: Maestà
Autore: Cimabue
Anno di esecuzione: 1280
Luogo: Louvre



Verso il 1280 Cimabue eseguì la Maestà del Louvre, ritenuta anteriore alla Maestà di Santa Trinita. Il trono è infatti disegnato con un'assonometria intuitiva, non con la pseudo-prospettiva frontale come nell'altra tavola. È simile a quello della Maestà dipinta da Cimabue stesso nella Basilica inferiore di Assisi (databile tra il 1278 e il 1280), con i gradini in primo piano che invece seguono una prospettiva frontale ribaltata, che suscita un certo senso di instabilità e piattezza.

Gli angeli invece sono disposti in piani successivi, dando il senso di scansione spaziale, sebbene rispetto ad Assisi siano più schematici: ciò ha fatto pensare a una datazione anteriore o alla presenza di un collaboratore. Appaiono disposti ritmicamente attorno alla divinità secondo precisi schemi di simmetria, con l'inclinazione ritmica delle teste e senza un interesse verso la loro disposizione illusoria nello spazio: levitano infatti l'uno sopra l'altro (non l'uno "dietro" l'altro).

Maria poggia fiaccamente la mano destra sulla gamba del bambino, mentre lo cinge con l'altra, infilando le lunghe dita affusolate nella sua veste e alzando il ginocchio destro per sostenerne la figura. Il volto di Maria mostra un addolcimento duccesco, mentre pare estraneo a quel misto di espressività vivace e dolcezza di altre opere di Cimabue. 








Gesù, come consueto per l'epoca, appare come un giovane filosofo vestito all'antica, che rivela la sua natura divina benedicendo come un adulto. nella mano sinistra impugna un rotolo delle sacre scritture, un chiaro elemento di matrice orientale che rivela l'origine bizantina del modello.

Molto fine è il modo con cui i panneggi avvolgono il corpo delle figure, soprattutto della Madonna, che crea un realistico volume fisico. Non vi è usata l'agemina (le striature dorate).

La pala è incorniciata da un nastro di fitte decorazioni fitomorfe, intervallato da ventisei tondi bordati d'oro, con busti di Cristo (in cima), di angeli (nella simasa), di profeti e di santi (ai lati e nel bordo inferiore).

Cimabue con quest'opera stabilì un nuovo canone per l'iconografia tradizionale della Madonna col Bambino, con il quale si dovettero confrontare i pittori successivi: la Maestà è il modello più diretto per la Madonna Rucellai di Duccio di Buoninsegna, già in Santa Maria Novella e oggi agli Uffizi (con un trono analogo, e con una cornice con testine di santi quasi identica), che viene per questo attribuita a pochi anni dopo, verso il 1285 circa.




Da Wikipedia: Maestà del Louvre

Bibliografia

Eugenio Battisti, Cimabue, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1963.
Enio Sindona, Cimabue e il momento figurativo pregiottesco, Rizzoli Editore, Milano, 1975. ISBN non esistente

Simone Martini - Storia di San Martino (Cappella di San Martino - Assisi)

Titolo dell'opera: Storia di San Martino
Autore: Simone Martini
Anno di esecuzione: 1316 - 1317
Luogo: Assisi (Basilica Inferiore)

La cappella di San Martino è la prima cappella a sinistra nella basilica inferiore di San Francesco d'Assisi. Voluta e finanziata dal cardinale Gentile Partino da Montefiore, fu interamente affrescata da Simone Martini nel 1313-1318. Il suo ciclo di affreschi è una delle opere più significative del maestro senese.







Partino da Montefiore
Gentile Partino da Montefiore era il cardinale della basilica dei Santi Silvestro e Martino ai Monti a Roma. Un documento del marzo 1312 testimonia lo stanziamento da parte del cardinale di 600 fiorini d'oro per costruire ed affrescare una cappella nella basilica inferiore di San Francesco. Nella primavera dello stesso anno il cardinale è documentato a Siena, in viaggio per Avignone in quanto incaricato di trasferire il tesoro pontificio presso la nuova sede francese. A Siena probabilmente si accordò con Simone Martini per l'affrescatura della cappella. Nell'ottobre dello stesso anno, il cardinale morì a Lucca, prima di raggiungere Avignone.

Simone Martini lavorò nella cappella in almeno tre fasi. Iniziò i lavori nel 1312-1313, lasciando sospesa la Maestà del Palazzo Pubblico di Siena a cui stava lavorando. In questa prima fase realizzò ad Assisi i disegni per le vetrate e forse iniziò gli affreschi. Tornò a Siena intorno al 1314 per ultimare la Maestà, per poi tornare di nuovo ad Assisi dopo il giugno del 1315. Qui iniziò la seconda fase con la realizzazione di tutti gli affreschi della cappella. Nel 1317 fu chiamato da Roberto d'Angiò a Napoli, ma subito dopo tornò ad Assisi, per ultimare (e in alcuni casi rifare) gli affreschi di santi a figura intera sotto l'arcone di ingresso. I lavori furono compiuti probabilmente entro il 1318.

Lo stile di Simone Martini in questi anni è realistico e oltretutto raffinato nei modi con cui vengono raffigurati i personaggi, i loro volti, le loro posture, il tocco delle loro mani. Simone è estremamente abile nella resa di linee fisionomiche dei volti a dare personaggi naturalistici, veri, tutt'altro che stereotipati. Ciò si nota proprio nei volti dei personaggi secondari degli affreschi quali i musici di corte nella scena dell'Investitura del santo a cavaliere o della guardia che svetta tra l'imperatore e il santo nella scena della Rinuncia alle armi o ancora nel volto del personaggio perplesso nella scena del Miracolo del fanciullo risuscitato. Il realismo lo si nota anche dalla cura con cui sono raffigurati tessuti e oggetti. Simone è un pittore cortese, laico anche nella rappresentazione di soggetti religiosi, quasi cavalleresco.



In questi affreschi Simone mostra anche di ricevere l'influenza di Giotto, che proprio in questi anni stava affrescando il transetto destro della stessa basilica. Risultati di quest'influenza sono la collocazione delle scene in contesti architettonici resi con un'opportuna resa prospettica e una maggiore attenzione per le vere fonti di luce nella resa dei chiaroscuri. Le volumetrie dei santi a figura intera del sottarco di ingresso, gli ultimi affreschi realizzati da Simone in ordine cronologico in questa cappella, sono un ulteriore avvicinamento allo stile di Giotto. Tuttavia Simone non si adeguò passivamente alla scuola fiorentina, anzi è chiara una divaricazione tra il suo modo di dipingere e quello giottesco a partire dallo stesso tema dei dipinti: non le storie di un santo popolare come san Francesco, ma un raffinato santo cavaliere, del quale Simone sottolineò alcuni aspetti cortesi della leggenda. 


Per esempio nella famosa scena dell'Investitura di san Martino, l'azione è ambientata in un palazzo, con i musici di corte magnificamente abbigliati e con un servitore con tanto di falcone da caccia in mano. Il contesto di Simone è più fiabesco e assolutamente notevole è lo studio realistico dei costumi e delle pose; l'individuazione fisionomica nei volti non ha pari in tutta la pittura dell'epoca, Giotto compreso. Anche la resa cromatica beneficia di un maggior repertorio di tinte.

In sintesi, con questi affreschi Simone si confermò come pittore laico, cortese, raffinato. Fu in questi anni che si concretizzò la sua capacità di ritrarre fisionomie naturali, gettando le basi per la nascita della ritrattistica.







Bibliografia

Marco Pierini, Simone Martini, Silvana Editore, Milano 2002.
Pierluigi Leone de Castris, Simone Martini, Federico Motta Editore, Milano 2003.