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Duccio - Maestà Rucellai

Titolo dell'opera: Maestà Rucellai
Autore: Duccio di Buoninsegna
Anno di esecuzione: 1285
Luogo: Firenze (Galleria degli Uffizi)


La tavola è la più grande che ci sia pervenuta riguardo al Duecento e venne dipinta dal pittore senese, allora giovane e in patria straniera (Firenze e Siena erano due repubbliche diverse).

L'opera si ispira alla Maestà del Louvre di Cimabue, dipinta circa cinque anni prima, con la stessa disposizione del trono in tralice, la stessa inclinazione dei volti, i medesimi gesti della madre col figlio, la stessa impostazione della cornice. Il tema però è qui rappresentato con una nuova sensibilità, più "gotica", carico di ancora maggiore dolcezza nei volti e nella dolente umanità che supera i rigidi schematismi bizantini, facendo eco all'importanza tributata nel Duecento ai culti mariani.

La Madonna Rucellai di Duccio è più aristocratica e raffinata. I volti di tutti i personaggi, sebbene ancora enigmatici, sono più dolci e gentili, secondo un distacco dall'opera di Cimabue che non era ancora evidente nell'antica Madonna Gualino di Duccio (1280-1283), divenendo percettibile nella Madonna di Crevole (1283-1284) e che in questa opera del 1285 diventa più evidente: la Vergine sembra quasi abbozzare un sorriso. Ciò dà all'immagine un senso di maggiore aristocraticità, innestata sulla solida maestosità e l'umana rappresentazione di Cimabue.



Con tutta probabilità Duccio ebbe come ispirazione anche gli oggetti quali smalti, miniature e avori provenienti dalla Francia, di sapore innovativamente gotico. Sono molti infatti gli elementi di stile gotico presenti nell'opera: mancano le lumeggiature dorate dell'agemina, sostituite da delicate modulazioni di colore e pieghettature spesso cadenti che danno sostanza alle figure. Inoltre Duccio vi immise un nervoso ritmo lineare, come sottolineato dal capriccioso orlo dorato della veste di Maria, che disegna una complessa linea arabescata che va dal petto fino ai piedi, in opposizione alle rigide e astratte pieghe a zig zag della pittura bizantina. La gamma cromatica è ricca e varia, come già andava conquistando la scuola senese, e conta colori che si esaltano a vicenda come il rosa smalto, il rosso vinato e il blu chiaro. Le aureole della Madonna e del Bambino sono decorate da raffinati motivi che creano un'aura di impalpabile trasparenza. 



I sei angeli che circondano la Madonna sono perfettamente simmetrici (forse dipinti tramite sagome cartonate, i cosiddetti "patroni") e stanno irrealisticamente inginocchiati uno sopra l'altro ai lati del trono, senza una minima sensazione di piani in profondità, come in Cimabue. Del resto anche nel trono sono più curati i decori preziosi, con bifore e trifore gotiche e con il sontuoso drappo di seta sullo schienale.

La cornice modanata ha un ruolo fondamentale nella composizione, ribadito dal recente restauro. Essa è in parte d'oro e in parte dipinta, con una fascia interrotta da clipei con busti di profeti biblici e santi domenicani, tra i quali il fondatore dei Laudesi san Pietro Martire. Queste figure, pur nelle dimensioni ridotte, presentano una notevole distinzione nelle singole fisionomie.

Da Wikipedia: Madonna Ruccelai



Bibliografia

Enzo Carli, Duccio, Milano 1952
Enio Sindona, Cimabue e il momento figurativo pregiottesco, Rizzoli Editore, Milano, 1975. ISBN non esistente
Luciano Bellosi, voce Duccio in Enciclopedia dell'Arte Medioevale vol. V, Roma 1994
Luciano Bellosi, Duccio. La Maestà, Milano 1998
Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 1, Bompiani, Milano 1999.
Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini, Luciano Bellosi, Michel Laclotte, Duccio. Alle origini della pittura senese, Catalogo della mostra, Silvana Editore, Milano 2003.
AA. VV., Galleria degli Uffizi, collana I Grandi Musei del Mondo, Roma 2003.
Gloria Fossi, Uffizi, Giunti, Firenze 2004, pag. 112. ISBN 88-09-03675-1

Ambrogio Lorenzetti - Madonna col Bambino e Santa Maria Maddalena e Santa Dorotea

Titolo dell'opera: Madonna col Bambino
Autore: Ambrogio Lorenzetti
Anno di esecuzione: 1340 circa
Luogo: Siena (Pinacoteca nazionale)



I tre dipinti erano originariamente nella chiesa dell'ex convento di Santa Petronilla a Siena (in origine era la chiesa degli Umiliati), e sono stati ricomposti in un trittico nella Pinacoteca di Siena. La loro provenienza giustifica la pergamena tra le mani di Gesù: "beati pauperes", benedetti siate voi poveri, perché vostro è il regno di Dio (Luca, 6,20). Il bambino ha amorevolmente un braccio intorno al collo di sua madre, mentre la Vergine tiene il suo volto accanto al Bambino guardandolo con uno sguardo intenso e penetrante. E 'questo sguardo di Maria, pienamente consapevole e con il dolore di chi già sa della passione che attende il Salvatore ed il dolore che li attende entrambi, che rappresenta la caratteristica del tutto nuova e originale dei dipinti di Ambrogio Lorenzetti,  nel soggetto della Madonna col Bambino; Lorenzetti dedica molta attenzione a questa espressione.

I due santi ai lati, Maria Maddalena a sinistra e S. Dorotea a destra, partecipano a questo momento di profonda intimità con i loro gesti calmi.

Nel trittico entrambe le sante continuano con le meditazioni dolorose della Vergine; Maria Maddalena mostra l'Uomo sul suo cuore e la coppa di unguento, in memoria di quello che lei ha portato al sepolcro già vuoto; Dorothea, d'altra parte, che sta guardando dritto Gesù negli occhi, ed a lui mostra il mazzo di fiori, simbolo del suo martirio e dei giardini del Paradiso, dove il Salvatore è in attesa per lei. La vita terrena di Cristo è raccontata nella splendida predella contenente il Compianto sul Cristo morto.

Giotto - Maestà di Ognissanti

Titolo dell'opera: Maestà di Ognissanti
Autore: Giotto
Anno di esecuzione: 1310
Luogo: Firenze (Galleria degli Uffizi)


Questa pala venne probabilmente dipinta dal maestro al ritorno a Firenze dopo essere stato ad Assisi; altri critici la collocano a un'epoca un po' più tarda, dopo vari viaggi, verso il 1314-1315, dopo comunque gli affreschi della Cappella degli Scrovegni di Padova, quando era così noto da far scrivere a Dante la famosa menzione nella Divina Commedia (Purgatorio, XI, 94-96), in cui si cita, a proposito della transitorietà della fama, come quella di Giotto abbia ormai eclissato il maestro Cimabue. Nonostante i pareri contrastanti circa l'autografia, è ritenuta da tutta la critica capolavoro autografo di altissima qualità e di grande importanza nel percorso artistico dell'artista nonché nello sviluppo dell'iconografia della Maestà.

La prima menzione dell'opera risale al 1418 quando l'altare dove si trovava in Ognissanti, l'ultimo a destra, veniva ceduto a un tale Francesco di Benozzo. Il più antico riferimento a Giotto come autore della tavola si ha con Lorenzo Ghiberti, che nei Commentari descrisse una «tavola grandissima di Nostra Donna a sedere in una sedia con molti angeli intorno».

Una collocazione originaria così defilata è poco credibile, e probabilmente la tavola si doveva trovare in principio sul lato destro del tramezzo, la recinzione che prima del Concilio di Trento divideva nelle chiese la zona dei sacerdoti (il presbiterio) da quella dei fedeli, oppure su un altare ad esso accostato. Il Bambino benedicente infatti è voltato di tre quarti e con lo sguardo verso sinistra.

Nel 1810 la pala venne secolarizzata, togliendola dalla chiesa e destinandola ai depositi di dipinti che si andavano costituendo presso la Galleria dell'Accademia, passando nel 1919 agli Uffizi.

Il confronto con le opere precedenti dà un valido metro di come l'arte di Giotto si muovesse ormai verso un radicale rinnovamento della pittura, anche se non mancano stilemi arcaici come il fondo oro e le proporzioni gerarchiche, queste ultime dovute forse alla necessità di mostrare il maggior numero possibile di fedeli attorno alla Vergine. Il tema della Maestà è reinterpretato con grande originalità, incentrato sul recupero della spazialità tridimensionale degli antichi e sul superamento della frontalità bizantina.

La Madonna e il Bambino hanno un volume solido, ben sviluppato in plasticità, dal netto contrasto tra ombre e lumeggiature, molto più che nella vicina opera di Cimabue (la Maestà di Santa Trinita) di circa dieci anni anteriore. Il peso così terreno delle figure è evidenziato dalla gracilità delle strutture architettoniche del trono. Raffinati sono i colori, come il bianco madreperlaceo della veste, il blu di lapislazzuli del manto, il rosso intenso della fodera. Maria è una matrona che, in maniera del tutto originale, accenna quasi un sorriso, dischiudendo appena le labbra e mostrando da uno spiraglio i denti bianchi.

Giustizia
Le figure sono incorniciate da un raffinato trono cuspidato, creato secondo una prospettiva intuitiva ma efficace, che accentua la profondità spaziale, nonostante il fondo oro. Esso si ispira a Cimabue, ma ha anche una straordinaria somiglianza con quello della Giustizia della Cappella degli Scrovegni. Originalissima è poi la disposizione dei due santi nell'ultima fila, visibili solo attraverso il traforo del trono, che assomiglia a un trittico richiuso o a un ciborio ornato di incorstazioni marmoree.











Tutti gli sguardi degli angeli convergono verso il centro del dipinto, con l'innovativa rappresentazione di profilo di alcuni di essi, una posizione riservata solo alle figure sinistre (Giuda, i diavoli...) nell'arte bizantina. Essi hanno in mano doni per la Madonna: una corona, un cofanetto prezioso e vasi con gigli (simboli di purezza) e rose (fiore mariano): i vasi sono tra i primi esempi in ambito medievale di "natura morta", già sperimentata da Giotto nella Cappella degli Scrovegni.

A differenza delle opere più antiche, Giotto ricava uno spazio pittorico nel quale dispone con verosimiglianza gli angeli e i santi: essi sono ancora rigidamente simmetrici, ma non lievitano ormai più uno sull'altro, né sono appiattiti, ma si collocano con ordine uno dietro all'altro, ciascuno diversificato nella propria fisionomia, finemente umanizzata rivelando un'inedita attenzione al dato reale.



La tecnica pittorica è molto avanzata ed ha completamente sorpassato la schematica stesura tratteggiata del Duecento, preferendo una sfumatura delicata ma incisiva e regolare, che dà un volume nuovo alle figure. Il senso del volume ottenuto col chiaroscuro, le forme scultoree, quasi dilatate, e la semplificazione delle forme saranno il punto di partenza per le ricerche di Masaccio.

Bibliografia

AA.VV., Galleria degli Uffizi, collana I Grandi Musei del Mondo, Roma 2003.
Gloria Fossi, Uffizi, Giunti, Firenze 2004, pag. 110. ISBN 88-09-03675-1
Maurizia Tazartes, Giotto, Rizzoli, Milano 2004. ISBN non esistente
Luciano Bellosi, Giotto, in Dal Gotico al Rinascimento, Scala, Firenze 2003. ISBN 88-8117-092-2
Edi Baccheschi, L'opera completa di Giotto, Rizzoli, Milano 1977. ISBN non esistente