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Giotto - Maestà di Ognissanti

Titolo dell'opera: Maestà di Ognissanti
Autore: Giotto
Anno di esecuzione: 1310
Luogo: Firenze (Galleria degli Uffizi)


Questa pala venne probabilmente dipinta dal maestro al ritorno a Firenze dopo essere stato ad Assisi; altri critici la collocano a un'epoca un po' più tarda, dopo vari viaggi, verso il 1314-1315, dopo comunque gli affreschi della Cappella degli Scrovegni di Padova, quando era così noto da far scrivere a Dante la famosa menzione nella Divina Commedia (Purgatorio, XI, 94-96), in cui si cita, a proposito della transitorietà della fama, come quella di Giotto abbia ormai eclissato il maestro Cimabue. Nonostante i pareri contrastanti circa l'autografia, è ritenuta da tutta la critica capolavoro autografo di altissima qualità e di grande importanza nel percorso artistico dell'artista nonché nello sviluppo dell'iconografia della Maestà.

La prima menzione dell'opera risale al 1418 quando l'altare dove si trovava in Ognissanti, l'ultimo a destra, veniva ceduto a un tale Francesco di Benozzo. Il più antico riferimento a Giotto come autore della tavola si ha con Lorenzo Ghiberti, che nei Commentari descrisse una «tavola grandissima di Nostra Donna a sedere in una sedia con molti angeli intorno».

Una collocazione originaria così defilata è poco credibile, e probabilmente la tavola si doveva trovare in principio sul lato destro del tramezzo, la recinzione che prima del Concilio di Trento divideva nelle chiese la zona dei sacerdoti (il presbiterio) da quella dei fedeli, oppure su un altare ad esso accostato. Il Bambino benedicente infatti è voltato di tre quarti e con lo sguardo verso sinistra.

Nel 1810 la pala venne secolarizzata, togliendola dalla chiesa e destinandola ai depositi di dipinti che si andavano costituendo presso la Galleria dell'Accademia, passando nel 1919 agli Uffizi.

Il confronto con le opere precedenti dà un valido metro di come l'arte di Giotto si muovesse ormai verso un radicale rinnovamento della pittura, anche se non mancano stilemi arcaici come il fondo oro e le proporzioni gerarchiche, queste ultime dovute forse alla necessità di mostrare il maggior numero possibile di fedeli attorno alla Vergine. Il tema della Maestà è reinterpretato con grande originalità, incentrato sul recupero della spazialità tridimensionale degli antichi e sul superamento della frontalità bizantina.

La Madonna e il Bambino hanno un volume solido, ben sviluppato in plasticità, dal netto contrasto tra ombre e lumeggiature, molto più che nella vicina opera di Cimabue (la Maestà di Santa Trinita) di circa dieci anni anteriore. Il peso così terreno delle figure è evidenziato dalla gracilità delle strutture architettoniche del trono. Raffinati sono i colori, come il bianco madreperlaceo della veste, il blu di lapislazzuli del manto, il rosso intenso della fodera. Maria è una matrona che, in maniera del tutto originale, accenna quasi un sorriso, dischiudendo appena le labbra e mostrando da uno spiraglio i denti bianchi.

Giustizia
Le figure sono incorniciate da un raffinato trono cuspidato, creato secondo una prospettiva intuitiva ma efficace, che accentua la profondità spaziale, nonostante il fondo oro. Esso si ispira a Cimabue, ma ha anche una straordinaria somiglianza con quello della Giustizia della Cappella degli Scrovegni. Originalissima è poi la disposizione dei due santi nell'ultima fila, visibili solo attraverso il traforo del trono, che assomiglia a un trittico richiuso o a un ciborio ornato di incorstazioni marmoree.











Tutti gli sguardi degli angeli convergono verso il centro del dipinto, con l'innovativa rappresentazione di profilo di alcuni di essi, una posizione riservata solo alle figure sinistre (Giuda, i diavoli...) nell'arte bizantina. Essi hanno in mano doni per la Madonna: una corona, un cofanetto prezioso e vasi con gigli (simboli di purezza) e rose (fiore mariano): i vasi sono tra i primi esempi in ambito medievale di "natura morta", già sperimentata da Giotto nella Cappella degli Scrovegni.

A differenza delle opere più antiche, Giotto ricava uno spazio pittorico nel quale dispone con verosimiglianza gli angeli e i santi: essi sono ancora rigidamente simmetrici, ma non lievitano ormai più uno sull'altro, né sono appiattiti, ma si collocano con ordine uno dietro all'altro, ciascuno diversificato nella propria fisionomia, finemente umanizzata rivelando un'inedita attenzione al dato reale.



La tecnica pittorica è molto avanzata ed ha completamente sorpassato la schematica stesura tratteggiata del Duecento, preferendo una sfumatura delicata ma incisiva e regolare, che dà un volume nuovo alle figure. Il senso del volume ottenuto col chiaroscuro, le forme scultoree, quasi dilatate, e la semplificazione delle forme saranno il punto di partenza per le ricerche di Masaccio.

Bibliografia

AA.VV., Galleria degli Uffizi, collana I Grandi Musei del Mondo, Roma 2003.
Gloria Fossi, Uffizi, Giunti, Firenze 2004, pag. 110. ISBN 88-09-03675-1
Maurizia Tazartes, Giotto, Rizzoli, Milano 2004. ISBN non esistente
Luciano Bellosi, Giotto, in Dal Gotico al Rinascimento, Scala, Firenze 2003. ISBN 88-8117-092-2
Edi Baccheschi, L'opera completa di Giotto, Rizzoli, Milano 1977. ISBN non esistente

Giotto - Natività di Cristo

Titolo dell'opera: Natività di Cristo
Autore: Giotto
Anno di esecuzione: 1303 - 1305
Luogo: Padova ( Cappella degli Scrovegni)


La Natività di Gesù è un affresco (200x185 cm) di Giotto, databile al 1303-1305 circa e facente parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova. È compresa nelle Storie di Gesù del registro centrale superiore, nella parete destra guardando verso l'altare.

Come fonti delle scene cristologiche Giotto usò i Vangeli, lo Pseudo-Matteo, il Protovangelo di Giacomo e la Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze.

Un paesaggio roccioso fa da sfondo alla scena della Natività, tutta incentrata in primo piano. Maria è infatti distesa su un declivio roccioso, coperto da una struttura lignea, ed ha appena partorito Gesù, mettendolo, già fasciato, nella mangiatoia, aiutata da un'inserviente, davanti alla quale spuntano il bue e l'asinello. 










Giuseppe sta accovacciato in basso dormiente, come tipico dell'iconografia, a sottolineare il suo ruolo non attivo nella procreazione; la sua espressione è incantata e sognante. Il manto di Maria, un tempo azzurro lapislazzuli steso a secco, è andato oggi in larga parte perduto, scoprendo la stesura sottostante della veste rossa. A sinistra si svolge l'annuncio ai pastori, due, raffigurati di spalle vicini al proprio gregge, mentre dall'alto un angelo li istruisce sull'evento miracoloso. Altri quattro angeli volano sopra la capanna e rivolgono gesti di preghiera al fanciullo nato e a Dio nei cieli.

Originale è il taglio prospettico dell'architettura, capace di rinnovare la statica tradizione bizantina dell'iconografia. Solide sono le figure, soprattutto quella della Madonna e quella di Giuseppe, che fanno pensare a modelli scultorei, di Giovanni Pisano. La tensione della Madonna nell'azione e l'attenzione che essa rivolge al figlio sono brani di grande poesia, che sciolgono in un'atmosfera umana e affettuosa il racconto sacro. L'inserimento delle figure nello spazio è efficacemente risolta e gli atteggiamenti sono spontanei e sciolti, anche negli animali.

Delicate sono le tonalità dei colori, che spiccano sull'azzurro del cielo (in questo caso danneggiato), armonizzandosi con le altre scene della cappella.

Da Wikipedia: Giotto - Natività di Gesù
Bibliografia

Maurizia Tazartes, Giotto, Rizzoli, Milano 2004. ISBN non esistente
Edi Baccheschi, L'opera completa di Giotto, Rizzoli, Milano 1977. ISBN non esistente

Giotto - Isacco ripudia Esaù

Titolo dell'opera: Isacco ripudia Esaù
Autore: Giotto
Anno di esecuzione: 1291-1295
Luogo: Assisi (Basilica superiore)


Esaù respinto da Isacco è un affresco (300x300 cm) attribuito al Maestro di Isacco (forse il giovane Giotto?), databile al 1291-1295 circa e situato nella fascia superiore della parete destra della Basilica superiore di Assisi.

Le due storie che danno il nome al cosiddetto Maestro di Isacco (Benedizione di Isacco a Giacobbe ed Esaù respinto da Isacco) sono state oggetto di un intenso dibattito tra gli studiosi, nel tentativo di dare un nome all'artista innovativo che, distaccandosi dai modi di Cimabue, andava sviluppando una maggiore volumetria dei soggetti e tridimensionalità della rappresentazione.

Isacco ripudia Esaù (Jacopo Torriti? )
Alcuni, confrontando le scene con quelle vicine di Jacopo Torriti e con i mosaici di Santa Maria in Trastevere di Pietro Cavallini, hanno ipotizzato che potesse trattarsi di un maestro romano, altri, in maggioranza, hanno pensato a un toscano, magari il giovane Giotto (da Thode in poi, 1885). I dubbi sulla paternità giottesca delle sottostanti Storie di san Francesco hanno complicato anche l'identificazione del Maestro di Isacco, arrivando ad ipotizzare che sotto tale figura si celi un maestro leggermente più anziano di Giotto, a capo di una bottega ampia, responsabile di diverse scene del registro superiore della basilica, tra cui anche la volta dei Dottori della Chiesa. Ipotesi più isolate hanno tirato in ballo anche Arnolfo di Cambio, nell'inedita veste di pittore.





Giotto - Presepe di Greccio

Titolo dell'opera: Istituzione del Presepe
Autore: Giotto
Anno di esecuzione: 1295 - 1299
Luogo: Assisi (Basilica Superiore)


Il Presepe di Greccio è la tredicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.


Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (X,7) di san Francesco: "Come il beato Francesco, in memoria del Natale di Cristo, ordinò che si apprestasse il presepe, che si portasse il fieno, che si conducessero il bue e l'asino; e predicò sulla natività del Re povero; e, mentre il santo uomo teneva la sua orazione, un cavaliere scorse il Gesù Bambino in luogo di quello che il santo aveva portato."

Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio (in provincia di Rieti, sulla strada che da Stroncone prosegue verso il reatino), Francesco rievocò la nascita di Gesù, organizzando una rappresentazione vivente di quell'evento. Secondo le agiografie, durante la Messa, sarebbe apparso nella culla un bambino in carne ed ossa, che Francesco prese in braccio. Da questo episodio ebbe origine la tradizione del presepe.
Nonostante le fonti, Giotto pone la scena nel presbiterio che ricorda la Basilica inferiore di Assisi.
Già tra gli affreschi meno leggibili del ciclo, fu restaurato una prima volta nel 1798 dal Fea (resoconto pubblicato nel 1820).


La scena, oltre che una delle più famose, è uno straordinario documento dell'epoca. Nessun pittore si era mai spinto a tanto realismo: lo spettatore osserva dalla parte di solito riservata ai soli sacerdoti e religiosi (da un ipotetico punto di vista nell'abside), dove sono rappresentati con minuzia e vivace descrittività le caratteristiche dell'ambiente oltre il tramezzo che lo separa dalla navata: un ciborio che ricorda quelli di Arnolfo di Cambio, i frati che cantano nel coro guardando al reggilibro in alto, un pulpito visto dal lato dell'ingresso ed una croce lignea sagomata appesa, vista dal dietro, con tutti i rinforzi, e sapientemente raffigurata obliqua mentre pende verso la navata.


Una folla di persone assiste alla scena in primo piano di Francesco con il santo Bambino tra le mani (provvisto pure lui di aureola), ma le donne non possono entrare e osservano dalla porta. Molto reale è la collocazione dei personaggi nello spazio, che appaiono su piani diversi senza dare l'effetto di librarsi nell'aria o di schiacciarsi l'uno sull'altro, come nelle tavole di pittori di poco più antiche. Solo i frati sporgono in alto perché sono in piedi sugli stalli del coro di cui si intuisce la presenza solo da un piccolo dettaglio accanto alla porta. Essi hanno le bocche aperte perché stanno cantando e lo sguardo diretto al badalone (leggio) con un codice che riporta le parole e la musica.





Da Wilipedia: Presepe di Greccio

Bibliografia

Maurizia Tazartes, Giotto, Rizzoli, Milano 2004. ISBN non esistente
Edi Baccheschi, L'opera completa di Giotto, Rizzoli, Milano 1977. ISBN non esistente

Giotto - Battesimo di Cristo

Titolo dell'opera: Battesimo di Cristo
Autore: Giotto
Anno di esecuzione: 1303 - 1305
Luogo: Padova (Cappella degli Scrovegni)



Il Battesimo di Cristo è un affresco (200x185 cm) di Giotto, databile al 1303-1305 circa e facente parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova. È compresa nelle Storie di Gesù del registro centrale superiore, nella parete sinistra guardando verso l'altare.

Al centro della scena Gesù, immerso fino a metà del busto nel Giordano, riceve il battesimo da Giovanni Battista che si sporge in avanti da una rupe. 



Dietro di esso sta un santo anziano e un giovane senza aureola, in attesa di essere battezzati. 

Dall'altra parte quattro angeli tengono i vestiti di Cristo e stanno pronti a ricoprirlo facendosi leggermente avanti. In alto, in un'esplosione luminosa, Dio Padre, con un libro in braccio, si sporge a benedire Cristo con un efficace scorcio, il primo del genere.

Anche le rocce dello sfondo, divergenti a forma di "V" contribuiscono a convergere l'attenzione dello spettatore verso il fulcro centrale della scena.


Altissima è la qualità del volto di Cristo, così come quello del Battista e dei due discepoli dietro di lui. Resta un'evidente concessione alla tradizione iconografica medievale nell'irrazionale livello delle acque che copre Cristo ma lascia asciutti gli altri presenti, dovuta al metodo tradizionale di rappresentare la scena, in modo da non mostrare il Cristo completamente nudo.

Dextera Déi







Bibliografia
Maurizia Tazartes, Giotto, Rizzoli, Milano 2004. ISBN non esistente
Luciano Bellosi, Giotto, in Dal Gotico al Rinascimento, Scala, Firenze 2003. ISBN 88-8117-092-2
Edi Baccheschi, L'opera completa di Giotto, Rizzoli, Milano 1977. ISBN non esistente

Santo Stefano (Giotto)

Titolo dell'opera: Santo Stefano
Autore: Giotto
Anno di esecuzione: 1330 - 1335
Luogo: Firenze (Museo Horne)



Il Santo Stefano è un dipinto a tempera e oro su tavola (84x54 cm) di Giotto, databile al 1330-1335 circa e conservato nel Museo Horne a Firenze.

Per le misure e la forma della tavola l'opera era generalmente associata alla Madonna col Bambino della National Gallery di Washington e ai due santi del Museo Jacquemart-André di Chaalis, San Giovanni Evangelista e San Lorenzo, con i quali si pensava formasse in origine un polittico a cinque scomparti magari da identificare con uno di quelli ricordati dalle fonti in Santa Croce con un quinto pannello perduto.

Una parte della critica però registrava, oltre a lievi differenze nella forma della cornice, un evidente divario stilistico, soprattutto tra lo stradordinario Santo Stefano e le più povere tavole di Chaalis. Indagini recenti e più approfondite hanno definitivamente messo in luce come il pannello fiorentino sia però preparato a terra verde, mentre quelli francesi a terra rossa, per cui sicuramente di diversa provenienza.

La tavola del Santo Stefano è collocata nell'estrema fase produttiva del maestro, dopo le pitture della Cappella Bardi.

Santo Stefano, riconoscibile per i sassi sulla testa, allusione alla sua lapidazione, e per la dalmatica, è raffigurato a mezza figura, con una semplice aureola punzonata sullo sfondo oro uniforme. Figura di estrema eleganza, è rivolto a destra e regge, con una mano affusolata e geometrica, un libro rosso rilegato con decorazioni ad oro zecchino. Il disegno appare prezioso, il colore ricercatissimo. Finissima è la veste, con straordinari ricami al collo, al petto, ai bordi lungo le spalle e ai polsi. Un lembo di tessuto, dallo fodera rossa, iridescente di riflessi dorati, copre per metà il libro e ricade pesantemente verso il basso, con pieghe molto realistiche.


Da Wikipedia: Santo Stefano (Giotto)

Bibliografia:
Maurizia Tazartes, Giotto, Rizzoli, Milano 2004. ISBN non esistente
Edi Baccheschi, L'opera completa di Giotto, Rizzoli, Milano 1977. ISBN non esistente